domenica 24 dicembre 2023

XI JINPING COME LA CINA SOGNA DI TORNARE IMPERO di Giorgio Cuscito

 XI JINPING  COME LA CINA SOGNA DI TORNARE IMPERO di Giorgio Cuscito

Ho leggo con grande interesse questo libro di Giorgio Cuscito.

Per me, che sono interessato, affascinato dalla Cina, ma anche preoccupato per le intenzioni e le conseguenze di un esito concreto della recente assertività nella polita estera e diplomatica della Repubblica Popolare, è un motivo di conoscenza, informazione e riflessioni.

Io parto da una base di semplice ignoranza, quindi non ho strumenti per dire se le analisi e le conclusioni di Cuscito sono tutte corrette, altri esperti potranno discuterle e contrapporre altre valutazioni, che sarà bello poter leggere e mettere a confronto.

Io banalmente posso dire che la schematicità per capitoli del libro aiuta a formarsi una idea complessiva, a seguire il procedere del ragionamento e a cercare nel proprio piccolo la razionalità e coerenza delle affermazioni.

Inoltre, diversamente dallo stile che alcuni saggi contenuti nella pur interessante rivista Limes (della quale Cuscito è Consigliere Redazionale) che spesso è volutamente supponente e contorto, questo libro è scritto in modo piano e comprensibile, e per un pubblico basico quale io rappresento è un sollievo.

 Nono voglio correre il rischio di essere ridicolo esprimendo una valutazione per la quale non ho gli strumenti di conoscenza, ma pure ho colto quella che mi sembra una caratteristica dirimente dell'era Xi rispetto alla precedente, allineata sul pensiero del "piccolo timoniere" Deng Xiaoping.

L'insegnamento di Deng era che la Repubblica Popolare dovesse "mantenere un profilo basso e perseguire gli obiettivi in maniera discreta"  (taoguang yanghui, yousuo zuowei), mentre Xi , scrive Cuscito a pag 74, "ha superato definitivamente il principio stabilito da Deng. Ha adottato una tattica più assertiva sul palcoscenico internazionale, cui i rappresentati diplomatici cinesi si sono adeguati prontamente".

I successi, la programmazione, il Zhongguo Meng,  ma anche le difficoltà più recenti del progetto cinese di tornare ad essere Zhongguo ( il "regno del centro" - centro del Mondo, come indicano i planisferi verticali che si usano in Cina) sono descritte con proprietà e chiarezza. E ben riassunte nell'ultimo capitolo intitolato "una mitopoiesi -Tendenza dello spirito umano a pensare o a interpretare la realtà in termini mitologici. -incompleta"

Molto spazio viene dedicato al "soft power" (scrive Cuscito: "soft e hard power sono simbionti. Si nutrono l'uno dell'altro. L'uso della forza può consentire di perseguire un obiettivo piegando la volontà altrui ma è il suo lato morbido che consente di plasmarla a proprio favore, spingerla ad accettare la posizione dell'egemone. E talvolta uniformarsi a essa") e in queste analisi nelle quali viene contrapposto il soft power americano - motore di creatività e proattività a prescindere dalla collettività di riferimento (forse una valutazione troppo benevola) a quello cinese che è concentrato sulla realizzazione della Cina ( torniamo al Tianxia, l'Imperatore che governa tutto ciò che sta sotto il cielo). Chi manca? Manca l'Europa, frammentata e rissosa, irrisolta e depressa, potenzialmente motore del più forte "soft power" e succube della miope incapacità dei governanti dei diversi Stati (ricordiamo eletti quasi tutti con un certo grado di democrazia elettorale)

C'è molto di più in questo libro, ma veramente molto. E magari anche di diverso da quello che ho capito io. Non rimane che suggerire di leggerlo. Ne vale la pena

giovedì 21 dicembre 2023

SIMONE PIERANNI. TECNOCINA

 SIMONE PIERANNI. TECNOCINA

Ma che bel libro questo TECNOCINA STORIA DELLA TECNOLOGIA CINESE DAL 1949 AD OGGI scritto da Simone Pieranni.

Una prima avvertenza: anche se il titolo potrebbe scoraggiare non appassionati di tecnologia non bisogna farsi ingannare. E' un libro leggibilissimo da tutti i curiosi di storia, di tecnologia, di politica, di ciò che non si conosce (che, questa ultima, è la migliore tra le curiosità) E' scritto poi in modo così divulgativo, mai noioso, sempre pacato e preciso - non cerca l'effetto e contemporaneamente non è noioso. Vale proprio la pena di leggerlo.

Aiuta a comprendere una realtà (che non è solo Stato, non è solo sistema politico, non è solo una storia millenaria, è questo e tanto altro probabilmente) che naturalmente è portata ad essere conosciuta per stereotipi. Io penso che, complice la pigrizia e la necessità di catalogare tutto con estrema velocità come ci stiamo abituando, non conosciamo la Cina perché nutriti di luoghi comuni o superficiali. Leggere questo libro è per molti versi illuminante. E' vero che se non siamo specialisti non possiamo conoscere la storia cinese dopo il '49 nel dettaglio, pure la guardiamo credo spesso come guardiamo la strada quando il parabrezza è appannato. Pieranni fa come lo sbrinatore, ci pulisce il parabrezza e ci fornisce una visione chiara. Poi dopo averla guardata possiamo dire (non potremmo permettercelo, ma è una scelta) che non ci interessa. Ma la sua funzione il libro la svolge in modo ammirevole.

Ma c'è qualcosa oltre l'interesse per la Cina (magari ampliato a tutto il Far East se lo si considera come noi della associazione Amici del gabbiano il cuore pulsante del mondo e meritevole di analisi, studio, conoscenza e condivisione). Qualcosa che ci interessa come italiani, europei, occidentali, viventi in democrazia.

Sono domande che nascono leggendo queste pagine. Domande che ci scuotono un po', per esempio sulla crisi della democrazia, sulla carenza di statisti lungimiranti, se esiste, all'interno di una vasto e contrapposto schieramento politico un minimo comune denominatore che unisce i diversi partiti.

La sfida tecnologica (mettiamoci anche quella ambientale) richiede programmazioni di decenni. Investimenti e progetti i cui risultati non sono a stretto giro. La Cina ci può apparire un sistema distopico e dispotico (dispotico lo è, non ci piove), e programma sui lunghi periodi - sono sui generis, lo so, probabilmente la realtà è più variegata. Nel nostro sistema che fortunatamente prevede la possibilità di alternanza tra diversi schieramenti che hanno diverse proposte e gruppi di riferimento, che devono competere per avere il mandato popolare, c'è la possibilità che sui grandi progetti, sulle visioni a lungo periodo (molto oltre la scadenza elettorale) ci sia una concordanza che non viene smontata  al cambio di governo? Ci possono essere statisti che vedono lungo? Vado sempre a finire su una questione, ma è quella che mi sta più a cuore: riusciremo a capire che l'Europa unita è il nostro destino se pensiamo come cittadini europei di voler avere un ruolo in questo secolo?

Non so se stimolare queste domande, che ho espresso in modo frettoloso e confuso, fosse nelle intenzioni di Pieranni, ma il suo libro me le ha suggerite. 

E questo per me è un altro motivo per consigliarne la lettura

mercoledì 1 novembre 2023

GERALDINE SCHWARZ _I SENZA MEMORIA STORIA DI UNA FAMIGLIA EUROPEA

 GERALDINE SCHWARZ  _I SENZA MEMORIA STORIA DI UNA FAMIGLIA EUROPEA

Ho apprezzato questo libro di Geraldine Schwarz. E' una indagine su come, nel secondo dopoguerra, in relazione alla Shoah, colpevoli, complici e ignavi abbiano affrontato, o non affrontato, le loro responsabilità. Prende spunto dalla vicenda della sua famiglia per allargare l'indagine a tutta Europa, con particolare attenzione a Germania e Francia e poi Austria e Italia ma con uno sguardo anche rivolto all'Est Europa che per decenni ha vissuto sotto il giogo Sovietico.

La lettura è appassionante, forse, in alcune parti, quelle che si allontano da Germania e Francia (suo padre è tedesco, sua madre francese, quindi i due Stati sono parte stretta della sua esperienza di vita), possono essere fin troppo veloci nella descrizione e tranchant nei collegamenti di causa/effetto e nei giudizi (ma per quanto posso conoscere, non ho trovato illogicità o palesi errori, complessivamente le valutazioni mi suonano corrette).

La fatica nell'assumersi le responsabilità, le scappatoie attraverso le troppo larghe maglie della giustizia delle quali hanno approfittato fin troppi criminali, il cinismo della realpolitik che ha indotto a scelte spesso assolutorie le potenze vincitrici, la mancata elaborazione della responsabilità fino a livello popolare (quante volte abbiamo visto come la accettazione passiva del procedere per passi successivi della politica eliminatoria abbia portato all'esito finale lungo un percorso forse non necessariamente inclinato), la debolezza della elaborazione culturale del passato alla quale si è contrapposta una legislazione della Memoria: sono tutti elementi che rendono interessante il libro e stimolano a riflessioni che sono attuali per due motivi. Il primo perché ci chiamano in causa: io come mi sarei comportato? il secondo perché in un certo senso rafforza la domanda di Valentina Pisanty in I GUARDIANI DELLA MEMORIA " Negli ultimi venti anni la Shaoh è stata oggetto di capillari attività commemorative in tutto il mondo occidentale. Negli ultimi vent'anni il razzismo e l'intolleranza sono aumentati a dismisura proprio nei paesi in cui le politiche della memoria sono state implementate con maggior vigore"

domenica 15 ottobre 2023

Therese Anne Flower: UN BEL QUARTIERE

 Therese Anne Flower: UN BEL QUARTIERE

Le statistiche contengono le storie di tante persone e famiglie che le compongono, che sono raccolte in dati e diagrammi asettici ma che una per una contengono vite, morte, sofferenze e gioie.

Spesso sembra che siano i risultati delle raccolte di dati a inclinare il piano verso gli esiti delle storie dove, partendo da condizione, genere e contesto, debbano quasi necessariamente scivolare, magari con piccoli eventi, coincidenze fortuite, casualità che possono dipendere dalla Fortuna. Ma questa Fortuna è determinata dal caso, o è la rappresentazione della divinità romana?

Quando questi eventi accadono siamo ancora liberi o entriamo in un processo kafkiano, come rappresentato con una accelerazione drammatica da questo romanzo, e diventiamo burattini di passaggi obbligati più forti e più grandi di noi, ai quali possiamo ribellarci solo con scelte drammaticamente forti?

Questo romanzo è oggetto di discussione del gruppo di lettura della Associazione Amici del gabbiano, l'incontro è programmato giovedì 26 ottobre, alle 21.00. In libreria Il Gabbiano.



sabato 30 settembre 2023

MEDITERRANEO. A BORDO DELLE NAVI UMANITARIE di Caterina Bonvicini

 MEDITERRANEO. A BORDO DELLE NAVI UMANITARIE di Caterina Bonvicini

Ho finito da poco questo libro di Caterina Bonvicini. E' il racconto delle esperienze a bordo di diverse navi umanitari che incrociando nel tratto di Mediterraneo tra le coste nord-africane e le coste sud-europee cercano di portare aiuto, salvando spesso le vite, a coloro che su imbarcazioni più o meno precarie, più o meno di fortuna, cercano di migrare dai loro Paesi di origine in modo informale e spesso con gravi rischi e pagando, in solido e in sofferenza, un prezzo altissimo (e questo quando non si paga il prezzo più alto, con la propria vita).

Trovo che sia un libro da leggere, di estremo interesse. E lo è indipendentemente da come ci si pone nel confronto, a volte feroce, tra coloro che esercitano il diritto umano di migrare per cercare di vivere meglio (o di vivere, nei casi più estremi) e coloro che non credono esista un dovere di accogliere (non in termini morali, in termini legali) all'interno di una entità costituita che è lo Stato di residenza (e per gli altri di approdo) (va oltre il dovere di salvare chi sta annegando in qualunque modo si sia creata la situazione).

Lo è perché questo libro libera "i migranti" da quella irrispettosa massificazione in un gruppo indistinto, in ombre confuse, in numeri o definizioni magari più offensive di migranti anche quando usate con imprecisione dolosa o colposa.

Con questo libro le persone sono riconosciute, nel limite del possibile ma con questa precisa volontà, una per una, con la loro vicenda, le loro sofferenze, anche con i loro tratti caratteriali. La necessità oggettiva consente all'autrice di rappresentare alcuni tra i molti, ma l'intento, o il risultato, è quello di far vedere che ogni persona è una persona. Poi chi vuole respingere e non accogliere può continuare a rimanere convinto della propria opinione, ma è consapevole che il suo atteggiamento non è verso un gruppo sconosciuto e indistinto, ma verso ogni singola persona.

Ovviamente il libro ha molti altri meriti, per le storie, per lo stile, la capacità di coinvolgere emotivamente partecipando con il cuore alle vicende narrate. Mi piaceva, l'ho creduto importante, sottolineare questo aspetto peculiare, forse perché mi disturba la massificazione indistinta delle persone, soprattutto coinvolte in eventi drammatici. Perché stiamo imparando, come associazione Amici del gabbiano, nelle nostre attività, a frantumare gli stereotipi e a cercare la persone in ogni aspetto storico o geopolitico che affrontiamo. Che siano le vittime della Shoah o dei Gulag, che siano i giusti di Gariwo o i protagonisti della società degli Stati dell'Africa, cerchiamo sempre di individuare le persone. 

Questo libro è un piccolo tassello in questo percorso. 

venerdì 25 agosto 2023

L’ARCO DELL’IMPERO CON LA CINA E GLI STATI UNITI ALLE ESTREMITA’ _ di Qiao Liang.

L’ARCO DELL’IMPERO CON LA CINA E GLI STATI UNITI ALLE ESTREMITA’ _ di Qiao Liang.

Qiao Liang è stato Maggior Generale dell’Aeronautica all’interno delle forze Armate Cinesi con un ruolo di Lavoro Politico. Il libro è del 2016.

HO letto questo libro su sollecitazione di un amico che ha stimolato la curiosità di “vedere le vicende del mondo con altri occhi”. Generalmente i libri che capita di leggere sono critici verso la nostra storia, la nostra società e il nostro sistema socio-politico colpevole di essere vuoi sfruttatore, vuoi ipocrita, vuoi asfittico, vuoi declinante. Ma sempre, dall’analista di turno, visto e vissuto (e spesso goduto) dall’interno.

In un primo momento ho avuto la duplice sensazione di non capire cosa stavo leggendo e di essere deluso dal quanto leggevo.

Avevo la sensazione di una visione complottistica scritta ad uso e consumo del pubblico cinese. Sembrava, leggendo le sue pagine, che la storia dell’ultimo secolo e di parte di questa fosse un succedersi di eventi manovrati dagli Stati Uniti per mantenere il suo potere soprattutto finanziario (grazie al dollaro, facendo faticare gli altri per godere di un alto regime di vita). Dalle guerre mondiali atte a sfinire l’impero Britannico, al sostegno alle rivoluzioni colorate non viste come ansia e desiderio di libertà di popoli da sempre oppressi ma come strumento di disordine per riportare sotto il controllo regimi non più tanto amici.

Se la prima impressione, di capire comunque poco, è rimasta, la seconda è stata mitigata da una breve ma precisa nota di indirizzo di questo amico e dalla notizia che l’India comperava petrolio dagli arabi pagandoli in Rupie ( si aggiunga le proposte di Lula di creare una moneta internazionale BRICS alternativa al dollaro).

E’ un libro che alla fine è piuttosto interessante da leggere, per certi versi, anche per maggior scioltezza, le appendici sono più interessanti del resto del volume. Bello il dialogo con l’economista sino-americano Chen Zhiwu (che ho avuto il piacere, ha dato del complottista a Qiao Liang – e quindi non avevo poi visto così male. E questi non ha negato che a suo avviso un complotto organizzato dagli USA esista veramente, anche se ha mitigato le affermazioni contenute nelle pagine precedenti).

Mi sembra di ave avuto la conferma di quanto leggevo negli altri libri SULLA Cina, che non è uno Stato di "Yesmen", all’interno di recinti ben chiusi, il dialogo e il dibattito anche critico esistono. E la seconda cosa (due su molte, ma i miei limiti sono evidenti) è che traspare la capacità della Cina di vedere lungo. C’è un affermazione nelle pagine finali che forse è esagerata, ma mi pare sintomatica. La copio anche se è un po’ estrapolata dal complesso del discorso. “ Fino ad allora, e di fronte alle pressioni geopolitiche esistenti, dovemmo solo tornare a concentrarci sulla Nuova via della seta. Si tratta DI UN OBIETTIVO DI CENT’ANNI, quindi non c’è assolutamente bisogno di affrettarsi. Anche se potessimo costruire un collegamento ferroviario diretto con l’Europa alla <velocità Shenzhen>, sarebbe meglio non fare una cosa così stupida."

Una cosa un po’ divertente è quando rispondendo a Global Times dice “ A mio parere, l’attuale declino degli Stati Uniti è il risultato dell’innovazione americana, ed è Internet che l’ha innescato. Perché Internet è il nuovo strumento che permetterà agli uomini di creare nuovi percorsi di democrazia”… se pensiamo che lo dice un Generale dell’esercito di un Paese che ha creato il Great Firewall e una rete internet chiusa e controllata, fa sorridere. 

venerdì 18 agosto 2023

SIMONE PIERANNI _ LA CINA NUOVA

 SIMONE PIERANNI _ LA CINA NUOVA

Premessa. Sto leggendo un altro libro sulla Cina: L'arco dell'Impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità di Qiao Liang. E ci sto capendo pochissimo (ma fortunatamente ho un amico che mi fornisce qualche spiegazione). Ho la presunzione di  aver capito abbastanza (tutto mi sembra esagerato) del libro di Simone Pieranni. Due considerazioni: a Milano si dice "ogni ofelé fa el so mesté" che intellettualmente invita a un bagno di umiltà e rende coscienti che leggere un libro difficile senza avere la capacità di comprenderlo è un esercizio inutile ( ma devo dire che mi ha fornito una pur opaca base per capire meglio la puntata di Globally  https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/globally-il-podcast-sulla-geopolitica-29852 (ISPI) di oggi https://open.spotify.com/episode/5rQfy7yAx10egeCw13c01a e anche intuire l'importanza che ha il fatto che l'India paga in Rupie il petrolio agli UAE. Seconda considerazione, sto leggendo libri di bravissimi divulgatori, studiosi e scrittori che sono capaci di rendere comprensibili questioni serissime mantenendo un alto livello pur con un linguaggio discorsivo. Come è il caso di questo libro del fondatore di https://www.china-files.com/  Simone Pieranni.

Il libro è diviso in capitoli quasi in contrapposizione l'un con l'altro. Chissà se posso fare il figo e utilizzare la diade Yin e Yang, che non sono esattamente contrapposti ma dove ogni elemento contiene il seme del suo opposto (abbozzo).

In questo modo ci si apre una Cina che mi appare nell'immaginazione come una pentola piena d'acqua sul fuoco. Non è acqua cheta, fredda, immobile, ma non raggiunge mai l'ebollizione perché appena si avvicina a quella temperatura, il PCC provvede ad abbassare la fiamma o aggiungere acqua fredda. Una società controllata eppure in grado di discutere e protestare entro certi limiti, più su questioni molto concrete e in prospettiva tendente verso risultati misurabili. Lo stesso Partito Comunista, che mi sembra sempre più in linea con il vecchio sistema imperiale nel quale il compito dell'Imperatore era "armonizzare il cielo e la terra", è sensibile al consenso popolare.

Copio un paio di capoversi di pagina 175 molto indicativi; motivo: se Pieranni lo spiega bene, perché dovrei confusamente riportare il suo pensiero  con parole mie?

"Un altro aspetto che creava parecchia confusione nella mia esperienza cinese era sicuramente dovuto ad alcuni miei pregiudizi. L'immagine che nel corso del tempo l'Occidente ha veicolato sulla Cina è quella di un paese piuttosto rigido, dove non esiste la capacità politica e dove tutto sembra essere deciso e scolpito nella pietra, per sempre. Grande e immutabile, pare essere la Cina nei nostri pensieri. Ma non è assolutamente così e questo si evince sia dalla vita quotidiana sia dalla rappresentazione del popolo cinese che bene o male l'attività del Partito Comunista fornisce, oltre che, naturalmente, dall'impianto filosofico cinese. I cinesi, in realtà, non sono affatto rigidi: sono molto più disposti a cambiare idea e piani di quanto pensiamo. E lo stesso vale per il Partito Comunista. Potremmo sostenere che i cinesi sono dei grandi sperimentatori, molto più di quanto lo siamo noi. Nelle pagine di quel diario pechinese (di Pieranni, nota mia) improvvisato, insieme a esempi di vita concreti, ho trovato anche alcune riflessioni sul concetti di libertà in Cina che hanno a che vedere proprio con l'oscillazione tra ordine e caos... Il PCC è l'ago della bilancia sociale in Cina, unica istituzione ad ora in grado di mantenere la stabilità. La popolazione lo sa e quando bisogna evitare il caos, il luan, segue le direttive del Partito, si mobilita. Ma di fronte ad abusi ed ingiustizie la popolazione si ribella: in Cina ogni anno ci sono migliaia di "incidenti di massa" (il numero è segreto di Stato), che vanno dalla protesta di qualche petizionista, fino a vere e proprie rivolte cittadine."

L'effetto di questi libri, di Pieranni, di Messetti, di Colarizi, di Pompili ecc è duplice: la voglia crescente di leggere altro ancora per conoscere sempre un pezzettino di più sulla Cina, sul Far East, sull'Indo-Pacifico, e l'altro di fare la stessa operazione con altre parti del mondo, l'Africa, l'America latina e del Nord e la nostra spesso poco conosciuta Europa. E scoprire sempre più fili che legano il mondo.

LA CINA NUOVA di Simone Pieranni, nel mio piccolo mi sento di consigliare la lettura.

venerdì 11 agosto 2023

NELLA TESTA DEL DRAGONE e LA CINA E' GIA' QUI di Giada Messetti

 NELLA TESTA DEL DRAGONE e LA CINA E' GIA' QUI di Giada Messetti

Sicuramente non sono giovane, e men che meno meraviglioso. Non ho gli strumenti per soddisfare la mia inesauribile curiosità neppure con  settimane, altro che anni,  di studio matto e disperatissimo sulle sudate carte. Quale diletto intellettuale quindi godo leggendo i bei libri di una talentuosa, lei sì giovane, giornalista e scrittrice come Giada Messetti.  A chi come me non possiede finezza di comprensione e profondità di conoscenze, opere seriosamente divulgative come questi due libri sono una chiave utile per aprire una porta che consente di affacciarsi libero da stereotipi su un mondo che pur lontano per molti versi è, come dice Messetti, già qui, in un modo che non ha senso e non è intelligente ignorare. Possiamo essere affascinati o meno, incuriositi o meno, dall'Asia, dal Far East asiatico, dalla Cina (Zhongguo, il paese che sta in mezzo), ma non possiamo ignorare che molti dei fili che tengono unito il mondo corrono e a volte possono aggrovigliarsi da quelle parti, e che l'Indo Pacifico sta diventando, o è diventato, uno dei principali cuori pulsanti del mondo. Ho scoperto e conosciuto Giada Messetti cercando random libri sulla Cina e sul far east, come ho conosciuto Giulia Pompili, Simone Pieranni, Alessandra Colarizi, Lorenzo Lamperti, China Files ... 

Poi Giada Messetti ha condotto quel fortunato programma su Rai 3 con l'amico Francesco Costa, CINAMERICA.

Ho riletto volentieri questi due libri che avevo già letto, cogliendo aspetti che a una prima lettura mi erano sfuggiti e confrontando le informazioni che mi dava, con il suo stile semplice e profondo, con altre informazioni che diverse letture mi avevano già fornito, riuscendo, sempre in modo approssimativo, a cominciare a strutturare un minimo livello di conoscenza più consapevole.

Ho apprezzato moltissimo, per esempio, l'aver iniziato il libro LA CINA E' GIA' QUI con una breve, interessante e piuttosto completa (al netto dell'enormità dell'argomento) sulla lingua cinese e sulla importante ontologica nella cultura e nella civiltà cinese. 

Ci sono altri capitoli che affrontano diversi aspetti che sono di piacevole lettura e di grande utilità per districarci verso una cultura veramente altra. Ma ci sono similitudini "umane" che mi hanno fatto sorridere. Il capitolo TUTTO SI TIENE inizia con una parte di un proverbio che dice " per il popolo il cibo è come il cielo". Mi ha fatto venire in mente un episodio narrato in LA MESSA DELL'UOMO DISARMATO di Luisito Bianchi. La contadina che aiuta la padrona della fattoria al lavaggio delle lenzuola all'arrivo della primavera, condivide con lei poi del cibo, in particolare tra due fette di polenta calda delle fette di salame tagliato appositamente (vado a memoria, ma credo di non sbagliare). E gustando questa delizia esclama "Il paradiso deve essere così". Anche per lei il cibo è come il cielo.

Un altro dei pregi dei libri a mio avviso è la suddivisione a capitoli quasi monografici, che da un lato aiutano a concentrarsi su una questione settoriale e dall'altro facilitano la costruzione della struttura di conoscenza perché i richiami e i legami sono facili da intuire e legare in modo autonomo.

Prima di concludere queste poche e povere righe che vorrebbero spiegare perché è bel tempo quello speso nel leggere questi libri (spero di non avere come esito l'effetto contrario, Giada mi scuserà allora), vorrei citare una pagina, la 88 di La Cina è già qui, perché ho trovato un richiamo al tema di Molte Fedi sotto lo stesso Cielo - mi accorgo che è una ridondanza non voluta con l'autonominarsi della Cina: Tianxia, il tutto sotto il cielo che l'Imperatore governava -  Parlando di Li Kunwu, un disegnatore dello Yunnan (per inciso, anche io come Giada Messetti ho mangiato per la prima volta insetti fritti nello Yunnan) scrive:

< Crede che "l'oggi sia il domani di ieri, e che il domani sia il dopodomani di ieri". Per lui tutto è integrato: passato, presente, futuro. Sostiene che se non si capisce l'ieri, non si può sapere nemmeno come amare l'oggi, non soltanto come riuscire a comprenderlo. E se non si ama l'oggi, non si può sapere come andare verso il domani. "Ma senza il domani, qual è il significato della vita umana?">

Il tema di Molte Fedi di quest'anno è APPASSIONATI AL PRESENTE.

Concludo con un'altra citazione, dalle pagine iniziali del secondo libro: "del Dragone si parla ormai tutti i giorni... Purtroppo però l'argomento viene spesso affrontato in modo superficiale e il racconto dei media, da questo punto di vista, non aiuta.... Le lenti che indossiamo hanno inevitabilmente i colori della nostra formazione culturale, ma fare affidamento soltanto su di esse comporta il rischio di cadere nella sterile semplificazione di un Dragone in bianco e nero" La citazione potrebbe essere molto più lunga. Quello che mi piace di questa citazione è che a mio avviso Messetti non la usa per dire, ve la do io la Cina (come ci irretiva un comico anni fa), ma per dire che occorre cercare di vedere con uno sguardo differente. Non è possibile vedere con gli occhi degli altri, saremo sempre noi a guardare, ma cercare di conoscere per capire, avere empatia che non vuol dire avere simpatia ma cercare di porsi nello stato d'animo dell'altro. 

La bellezza e la forza dei libri che sarà invincibile nei confronti di tutte le forme di comunicazione verbale e/o iconografica sta proprio nella possibilità di essere continuamente ripresi. Come meritano questi due, partendo da una prima lettura che consiglio.

mercoledì 9 agosto 2023

AFRICA ROSSA_ di Alessandra Colarizi

 AFRICA ROSSA_ di Alessandra Colarizi

Il modello cinese e il continente del futuro.

Che bello questo libro di Alessandra Colarizi. Bello, interessante e a suo modo entusiasmante.

Ci si può entusiasmare leggendo un saggio? A mio modesto parere, sì. Si può quando si percepisce di comprendere, grazie a uno stile di scrittura chiaro e a ragionamenti bene esposti, il filo logico del discorso. Alessandra Colarizi non si concede esibizioni di erudizione che a volte si trovano in libri così specifici, quasi che chi se li concede volesse marcare un po' la distanza tra un lettore medio come me e la sua conoscenza e capacità di elaborazione. No, Colarizi si esprime con proprietà, competenza ma anche con un confronto schietto con il lettore, spiegando che rapporto si è costruito tra la Cina e gli Stati africani, tra il potere cinese e i poteri africani, tra i cinesi e gli africani (perdonate considerare gli africani come un soggetto collettivo, nel libro si colgono anche le differenze culturali tra i diversi popoli). 

E leggendo si può seguire l'evolversi del gioco politico, il confronto tra gli intenti, gli scopi evidenti e reconditi, la relazione anche conflittuale, i successi e i problemi. 

Lo fa anche confrontando l'approccio che per comodità chiamo Occidentale, Consentendoci di fare riflessioni per nulla stereotipate, ma con strumenti di consapevolezza che questo libro offre e non sempre ho trovato in altre pubblicazioni simili.

Con la associazione ( Amici del gabbiano di Trezzo) con la quale collaboro abbiamo creato un gruppo di lavoro in sinergia con altre associazioni che abbiamo chiamato Africast ( già Luci sull'Africa). Uno degli scopi è quello di frantumare gli stereotipi sull'Africa. Con questo libro si possono frantumare stereotipi sia sull'Africa sia sulla Cina.

Del resto Colarizi è direttrice editoriale dell'interessantissimo sito China Files, a mio avviso imprescindibile per chi può essere interessato, anche a livello popolare, come me, verso il Far East, uno dei cuori pulsanti del mondo oggi. 

Leggo nella fascetta di copertina una valutazione del libro che mi sento pienamente di condividere: " Mentre la narrazione dei mass media propone in modo ossessivo quasi ogni giorno le statistiche del debito africano e degli investimenti cinesi, poco o nulla viene raccontato degli scambi politici e culturali tra i rispettivi popoli". Centrato in pieno. Una delle ricchezze di questo libro è proprio questo: non incentrarsi sulle tabelle e sui numeri, ma raccontare dentro la vicenda di relazione tra le persone, anche con esempi di vita vissuta. 

Credo che possa essere un libro che aiuta ad aprire la mente e a indirizzare la conoscenza interessante anche per chi è semplicemente curioso o non si accontenta delle notizie mainstream, ma abbia gusto nel conoscere nel profondo, senza per forza essere interessato alla Cina o all'Africa (ma attenzione, i fili che collegano il mondo e che nel loro dipanarsi toccano Africa e Cina sono gli stessi fili che toccano anche noi, è pericoloso dire, non mi interessa).

Sarebbe una ricchezza poter dialogare in libreria con Alessandra Colarizi, una ricchezza per tutti. 

Libro consigliato, alla grande. Poco più di 200 pagine tra le quali  nessuna è superflua.

giovedì 3 agosto 2023

BURQA QUEEN di Barbara Schiavulli

 BURQA QUEEN di Barbara Schiavulli

Ho appena finito di leggere un libro sulla storia della Cina che narra tra l’altro di immense stragi, addirittura del genocidio di uno sconosciuto popolo dell’Asia centrale. Si legge di trecentomila morti con l’interesse del curioso di storia, senza particolari emozioni se non un moto di stupore. Ma quando i libri, e lo sanno fare, riescono a farci identificare la persona che sta soffrendo, a volte la lettura diventa insostenibile, o per l’egoismo che ci fa rimanere nel recinto della comfort zone la si evita. E io sono quel lettore.

Quindi non è naturale per me aver scelto di leggere il libro di Barbara Schiavulli che racconta di tre donne che vivono sulla loro pelle e giocandosi il loro futuro il ritorno al potere dei Talebani in Afghanistan

(abstract dal Sistema Bibliotecario:La storia di tre donne dopo la riconquista del potere dei talebani in Afghanistan. Layla, Faruz e Farida, sono una giovane sposa, un'ex poliziotta e un'ex insegnante travolte dalle nuove regole del regime e immerse in una violenza senza precedenti da quando l'Occidente ha voltato le spalle alle donne afghane. Per 20 anni si erano rimboccate le maniche per costruire una società civile, ora uccisa, evacuata o nascosta. Le tre arrancano per sopravvivere un giorno dopo l'altro immerse nella disperazione di un genere che gli estremisti stanno cercando di cancellare. Hanno capito che ci sono solo due alternative: soccombere o reagire)

Ho voluto leggere questo libro di Barbara Schiavulli per diversi motivi, per il suo modo di fare giornalismo, sul posto, camminando sulle stesse strade di chi entra nel suo raccontare, per la Radio che dirige (Radio Bullets, che ascolto con minore costanza di quanto merita, per vicende della Associazione.

E’ stata una lettura coinvolgente, che ha suscitato l’interesse verso una realtà che conosciamo e non conosciamo allo stesso tempo. Sarebbe interessante discuterne con lei in Libreria

Il caso ha voluto che il giorno dopo aver letto il libro (lo si legge in un giorno) ho letto il post che trascrivo sotto (ma invito a cercare Barbara Schiavulli sui social per seguirla). Già il libro racconta una vicenda se non vera, summa di tante storie vere che immagino abbia conosciuto. Subito dopo precipitiamo nella vicenda vera e drammatica di Nadima. Ecco che il nome collettivo se non un volto assume una consistenza individuale. E mentre io scrivo comodamente queste righe Nadima vede il buio chiudersi sul suo futuro, senza avere una seconda possibilità di giocarsi la vita come merita di essere vissuta.

Forse è stupido, mi rimane la curiosità di conoscere dentro i processi mentali, l’humus sociale e il retaggio culturale che muove il talebano per essere appunto talebano.

Se mi si chiedesse un parere, io suggerirei con convinzione di leggere questo piccolo ma “tosto” libro. Ne vale la pena.

“Voglio morire”, la voce spezzata dal pianto che ogni tanto si ferma per respirare. “Non ce la faccio più e se questa è la vita che mi aspetta, non voglio viverla. E sei troppo lontano per potermi fermare”.

Comincia così un pomeriggio assolato in una Roma sempre più calda con l’olezzo dolciastro dei rifiuti non raccolti, che ti entrano nelle narici se solo osi tenere le finestre aperte. Fa troppo caldo per pensare, troppo caldo per convincere una giovane ragazza sana che la vita merita di essere vissuta. Chi sono io per dare certezze a chi non ne ha? Non ho neanche la religione dalla mia parte e forse, proprio a lei non sarebbe neanche il caso di nominarla.

Nadima, non è il suo vero nome ma non ha nessuna importanza come si chiama, la conosco da molti anni, non mi ricordo neanche quando ci siamo incontrate, sicuramente durante un’intervista, più giovane di me, ma con quell’aria vissuta che hanno tutte le donne afghane che la vita non l’hanno mai attraversata, se la sono dovuta conquistare con le unghie e i denti negli ultimi vent’anni. La vedo attraverso il video whatsapp che accorcia le distanze come se non fosse a 6000 km di distanza. Mi sembra di poter allungare la mano per poterla toccare. Vorrei afferrarla e farla uscire dalla mia parte del telefono.

Mi dice che i suoi vogliono che si sposi, che non possono più vederla disperarsi dalla mattina alla sera, che appena avrà un figlio le sue giornate saranno così piene e nuove che tutto il resto non avrà importanza. I figli hanno il potere di diventare una priorità assoluta, cancellano i sogni di carriera, il desiderio di viaggiare, quei grilli nei capelli che parlano di vedere le amiche e andare fuori a fare una passeggiata. Il dono dei figli sono una dittatura sopportabile che ti strappa alla vita quando non ce l’hai.

Il problema è che Nadima non vuole figli. Ha studiato. Aveva un lavoro. E non si capacita. Non tanto di tutte le “regole contro” che sono state imposte a quelle del suo genere, ovvero femminile, ma della cosa più importante di tutte non si capacita e che ci rende umani. Il motivo per il quale il mondo ha fatto rivoluzioni, la ragione per la quale le donne hanno resistito, combattuto, lottato: la libertà di scegliere.

La schiavitù che sia familiare, religiosa o politica è uno dei mali assoluti. E capisco il dolore di Nadima che mi dice che non vedrà mai il mare, che non entrerà mai in cinema, o andrà ad un concerto o entrerà in una libreria per comprarsi un libro. Penso che niente di questo è veramente necessario per sopravvivere, ma sappiamo tutti quanto sia indispensabile per vivere. E queste donne, rinchiuse nelle loro stesse case sotto gli occhi di familiari preoccupati ma incapaci di reagire, si sentono perse. Abbandonate, tradite. Sole. “Posso dirlo solo a te. Altrimenti i miei mi chiudono in camera se sentono parlare di suicidio”. E io non sono contenta di essere la custode dei suoi brutti pensieri. Non ne sono lusingata per un solo attimo. Perché mi sembra di non riuscire a fare mai abbastanza, di essere in un paese libero, ma di non poter fare niente di utile, a parte parlare, scrivere, disturbare, usare la mia rabbia per rompere l’indifferenza e scoprire che questa è un mostro indistruttibile. Come le zanzare, ne ammazzi una, e ne arriverà sempre un’altra. Siamo entrambe combattenti di una battaglia persa? Lei lotta per vivere, io per far si che la gente sappia che lei sta lottando.

Le parlo indossando una canotta, pantaloncini, un velo di trucco e i capelli ricci al vento del ventilatore perché ho deciso che ieri non li volevo lisci. Lei è nella sua manica lunga, nei jeans, ma solo perché è in camera sua, con l’elettricità che va e viene. È contenta perché è riuscita il giorno prima a caricare il cellulare. Si può essere felici di una cellulare carico? Piange, e ogni lacrima mi spezza quel cuore che con certe persone ho dovuto fermare. Perché a volta mi sembra di non riuscire a far capire o trasmettere cosa stanno passando queste persone.

Dove una mela è gioia, dove una giornata senza sentire il rumore dei pickup della polizia talebana è meno ansia. Dove un fiore che spunta tra le piastrelle del cortile è una breaking news della famiglia. “Non si parla che di soldi, di come trovare da mangiare, di come trovare marito, di come trovare le medicine. Stiamo sempre a cercare qualcosa. Credimi, non ne posso più. Non è questa la vita che una persona dovrebbe fare, non dico essere liberi e ricchi, ma avere un attimo di tregua. Pensate che la guerra sia finita? Ne è cominciata una ben peggiore e ci sta mangiando dentro. Sento i miei organi morire, sento la mia anima sbriciolarsi, sento la vista offuscarsi e il cervello smettere di funzionare. Sono un’insegnate, avrei dovuto ispirare le giovani ragazze e invece non riesco neanche a convincere me stessa”.

Le dico che tanta gente sta parlando di Afghanistan, sta cercando di svegliare le persone, ma che ci vuole tempo, e lei deve resistere fino a che quel momento arriverà. “Sei mesi? Un anno? Cinque anni? Devo fare bambini per distrarmi? Devo sposare un uomo per mangiare? Devo pulire la casa per tenere gli occhi impegnati e impedirmi di piangere dalla mattina alla sera? Che ho fatto di male per meritarmi questo? Che abbiamo fatto di male tutte noi?”. Anche i miei occhi si riempiono di lacrime, ma non cederò al suo dolore, dovrà cedere lei alla mia forza e attingervi.

Le dico che il mondo è fatto male, che ci sono persone che sono oppresse per il colore della pelle, perché vengono da altri paesi. Le dico che qui chi fugge da un paese in guerra, finisce in prigione. Persone uccise per la loro religione o la loro simpatia politica. Ma niente la consola. Come potrebbe? Provo a dirle che anche se nessuno le aiuterà, dovranno trovare la forza per resistere, lottare. Mi sento stupida mentre lo dico, ma so che è vero. Sono sole. Ma sono sane, forti, intelligenti, e disperate. E la voglia di morire per liberarsi dalla prigionia devono trasformale in lotta.

Tutto quello che c’era da prendere in Afghanistan, l’Occidente lo ha depredato, il resto lo sta prendendo chi è rimasto. E sappiamo bene che mai le persone sono sul piatto della bilancia di un mondo di uomini che fanno solo i loro interessi. Le guerre non si fanno per salvare le persone. La pace lo fa. Ma che glielo dico a fare a Nadima? Che ha solo fame e voglia di essere libera.

Le racconto la favola della bella addormentata nel bosco, riveduta e corretta, le dico che deve entrare in standby, congelare la mente e il cuore e andare avanti per inerzia. Che prima o poi qualcosa succederà, magari una pandemia, un cataclisma, un’altra guerra. “Devo sperare nel peggio per liberarmi?”. L’importante è che non smetti di sperare, amica mia.

E cade la linea: batteria finita.

L'IMPERO INTERROTTO_ di Michael Schuman

 L'IMPERO INTERROTTO_ di Michael Schuman 

Giada Messetti ci spiega che gli intellettuali e i decisori cinesi leggono le opere dei pensatori dell’Occidente, mentre noi (inteso in senso generale) non leggiamo le opere dei cinesi. Esiste probabilmente un dislivello di conoscenza. E nel lato più basso, dove manca la conoscenza, il vuoto può essere riempito dagli stereotipi. A vantaggio di chi si impegna per conoscere scientificamente. Un libro come questo, L’IMPERO INTERROTTO. LA STORIA DEL MONDO VISTA DALLA CINA, scritto da Michael Schuman (non uno storico, bensì un giornalista e studioso di Relazioni Internazionali) probabilmente si pone a metà strada. Non conosco l’autore, ma vedo che pubblica con UTET e collabora con ISPI (oltre a un serie di importanti giornali anglosassoni) e quindi credo che la fiducia sia ben riposta. Tra l’altro leggo che il titolo in inglese è “Superpower Interrupted: The Chinese History of the World”, con il termine Superpotenza e non Impero (forse a noi italiani piace di più impero. Per curiosità sono andato a vedere se in inglese l’altro libro che sto leggendo L’ARCO DELL’IMPERO di Qiao Liang avesse un altro titolo, ma invece in questo caso anche in inglese si usa la parola Impero)



Torniamo al libro di Schuman. Lo ho trovato, in entrambe le letture (l’ho letto due volte) un libro ben fatto (per quanto possa valere il mio banale giudizio), interessante, abbastanza divulgativo da poter essere affrontato da lettori come me, e stimolante. Oh, sia chiaro, alla fine si fa un po’ di confusione tra Qing, Tang, Manciù, Shang e tutti i popoli che hanno combattuto, governato, invaso, o sono stati sterminati nel corso dei millenni (perché una cosa emerge, l’entità Cina, con le sue diverse vicissitudini, mi sembra detenga il primato di longevità, superando anche una potenza come la Chiesa Cristiana poi diventata Cattolica).

Ma non serve per superare un esame di storia; lo scopo riuscito del libro è di consentirci di cercare di guardare con lo sguardo dell’altro, vedere e capire che non deteniamo solo noi la penna con cui si scrive la Storia (perlomeno possiamo farlo con molti, ma non con i cinesi di sicuro). Si accompagna molto bene all’altro libro che ho appena letto sulle Guerre dell’Oppio. Credo sia non solo una operazione stimolante intellettualmente scoprire e confrontarsi con un’altra narrazione, capire che il mondo era complesso anche quando non era conosciuto, che i retaggi sono molti e diversi e persistono soprattutto in storie che possono rivendicare una continuità (e quindi quanto possa essere scritto nella carne di chi subisce eventi epocali come Il secolo delle Umiliazioni e la Rivoluzione Culturale) e condizionano e formano il pensiero attuale. Dovremmo saperlo noi che ci rifacciamo all’Illuminismo e alla Rivoluzione Scientifica per motivare i nostri valori.

Mi sembra che proprio per questo aiuto ad aprire lo sguardo (che all’inizio abbiamo detto già essere reciproco – poi se fatto per aumentare il rispetto reciproco o per trovare punti deboli per suscitare crisi è un altro discorso) la lettura di questo libro, per molti versi appassionante, sia particolarmente consigliabile.

Di seguito l'incipit dell'abstract usato dai sistemi bibliotecari per presentare il libro

La storia del mondo che studiamo a scuola inizia con i grandi popoli antichi, fiorisce con l'antica Grecia, Roma, Alessandro Magno. Trascolora con la fine dell'impero, il Medioevo e il Rinascimento e tutto quello che ne è conseguito: conosciamo benissimo le lotte secolari dei regni e degli imperi europei e la grande epoca delle scoperte, quando imparammo che la Terra era molto grande, persino più grande di quanto ci aveva insegnato Marco Polo incontrando in Cina il maestoso Oriente. Proprio la Cina ci invita a rovesciare questo nostro sguardo: fino all'arrivo di Marco Polo per noi è di fatto ininfluente, e in qualche modo resterà periferica nei secoli a venire, spuntando fuori ogni tanto nelle guerre e nelle interazioni con gli interessi occidentali. Eppure, quella cinese è la storia millenaria di un paese grande quanto un continente, di dinastie, battaglie epiche, leader politici influenti e ideologie che hanno cambiato il corso degli eventi più di quanto noi europei vogliamo ammettere.

martedì 1 agosto 2023

UN UOMO DI POCHE PAROLE_ di Carlo Greppi

 UN UOMO DI POCHE PAROLE_ di Carlo Greppi

Sentivo che c’era un collegamento che mi sfuggiva mentre leggevo questo libro importante e interessante di Carlo Greppi sulla vita di Lorenzo Perrone, l’uomo che “salvò” (letteralmente) Primo Levi fornendogli per un lungo periodo un cibo supplementare che lo aiutò a sopravvivere.

Poi finalmente la lampadina si è accesa.

Prima di svelare il collegamento, devo fare una ammissione. La mia conoscenza di Primo Levi, il mio approccio alla sua opera (ponderosa, Greppi scrive che sono più di 4000 pagine) è così lacunosa, che di Perrone prima di questo meritorio libro non avevo conoscenza.

E il colmare questa mia colpevole lacuna è già motivo di ringraziamento per Greppi che ha scritto questo libro non facile e non scontato. Ma c’è altro, si va oltre.

E vengo al collegamento, mi piace pensare che sia uno degli scopi per il quale Greppi ha scritto il libro, e nasce dalla domanda sul perché uno fa del bene gratuitamente, opta per una scelta rischiosa o costosa trovando la motivazione per farla nella scelta stessa che legge il contesto in cui si esplicita.

Anche quando può sembrare controintuitiva, apparentemente contraddittoria con le condizioni e il retaggio con cui si convive.

Il collegamento è con un libro che ho appena letto, un libro che ho apprezzato moltissimo: TEMPESTA, di Camilla Ghiotto.

Renzo Ghiotto il padre di Camilla nato e cresciuto nel fascismo prende le armi e sale in montagna per combattere per la democrazia che non ha mai sperimentato. Lorenzo Perrone si trova da Lavoratore volontario di fronte il prigioniero destinato a morire di consunzione ad Auschwitz e per un lungo periodo gli porta una gamella di zuppa di nascosto.

Renzo e Lorenzo (due persone diversissime, ma evidentemente accomunate non solo dalla similitudine del nome) fanno una scelta controintuitiva, rischiosa, gratuita.

In una intervista a Greppi viene chiesto perché Lorenzo sceglie di fare la cosa giusta. Risponde: “Voglio credere e sono convinto del fatto che la nostra capacità di determinarci sia molto più forte del patrimonio genetico e persino del contesto che forma il nostro carattere. Lorenzo sembrava un predestinato ad incattivirsi. Ma questo è il messaggio: la scelta ce l’hai sempre, indipendentemente da chi sei e dal contesto in cui ti trovi. Quella scintilla può nascere in chiunque, perché tutti ce l’abbiamo dentro”. Questa scintilla Renzo Ghiotto kantianamente la chiamava “la legge morale dentro di sé”.

 Ecco il collegamento che mi è venuto finalmente in mente finito il libro.

Ci sono altri spunti di riflessione molto profondi in un libro che non mi sembra semplice e che richiede una buona dose di attenzione per cogliere tutto ciò che offre. Mi sembra che, per la sentita partecipazione alla vicenda, e alla ricerca, che Greppi mette in questo libro, che i protagonisti siano tre, Perrone ovviamente e pure ovviamente anche Levi, ma pure Greppi stesso, che racconta la sua ricerca soprattutto nelle parti dove finisce in un vicolo chiuso, dove lo scavo non porta da nessuna parte. Non so, sbaglierò, ma non mi sembra mania di protagonismo, quanto la sottolineatura della tendenza a sparire nel nulla, all’oblio, la storia della gente minuta anche quando compie gesti clamorosamente grandi.

Un altro spunto che mi ha colpito è tratto da Levi stesso, che trova nel gesto di Perrone la possibilità di tornare ad aver fiducia nell’uomo.

E infine, forse debordo, mi viene da triangolare nel pensiero tra chi ha compiuto tanto male e, scampando dal giudizio umano, probabilmente vive bene il resto dei suoi giorni, tra chi ha sofferto tanto male e non si è ripreso più (Amery, forse Levi stesso), e chi, come sembra dire la storia di Perrone, ha visto il male  e ha perso la voglia di vivere.

Concludo dicendo che è un libro da leggere e sul quale sarebbe bello poterne discutere in libreria con Greppi, molti ne trarrebbero beneficio.

mercoledì 26 luglio 2023

CANTO DELLA PIANURA _ di Kent Haruf

 CANTO DELLA PIANURA _ di Kent Haruf

Con questo penso che immersione felice nelle storie di Kent Haruf avrà una temporanea fine. Perché altri libri, altrettanto appassionanti anche se di diverso contenuto mi aspettano da tempo - in questi giorni non riuscivo quasi a leggere altro e loro sono rimasti in ordine ad attendermi (chi è più paziente di un libro?) - e anche perché proprio l'entusiasmo, direi l'innamoramento, verso un autore ha la necessità di un periodo di decantazione, di allontanamento per poter rielaborare nel subconscio quanto si è "ingurgitato" con famelica passione  per far tornare in qualche angolo della mente predisposta all'uopo i momenti, le pagine, i particolari, i personaggi,  per scoprire anche difetti, avere una visione più critica, e suscitare quella nostalgia che magari ti fa riprendere le pagine, gustandole con minor fretta una seconda volta, scoprendo quindi qualche aspetto nuovo, qualche particolare sfuggito, qualche gemma che non ha brillato abbastanza nella prima lettura.

Anche questo libro non ha tradito. Mi è sembrato leggermente differente dagli altri, forse per la struttura che ricorda una piazza alla quale adducono vie diverse, che a volte si incrociano ma che proseguono ciascuna un proprio percorso prima della congiunzione finale. Anche l'esito è differente, non voglio togliere nessuna scoperta a chi non lo ha ancora letto, e quindi mi taccio su questo. I personaggi mi sembrano più "tipi" - ma non stereotipi - rispetto agli altri che ho letto. Sono personaggi belli nella loro imperfezione, nei loro drammi, anche quelli più duri sono vicende e drammi nei quali ci si può riconoscere anche se non si sono vissuti, fortunatamente, di simili perché appunto non eccessivi, direi verosimili.

La scrittura è sempre affascinante e così poeticamente semplice che invidio Haruf per il suo talento.

Un libro, nella mia limitatissima valutazione,  decisamente consigliato.

lunedì 24 luglio 2023

LE NOSTRE ANIME DI NOTTE di Kent Haruf

 LE NOSTRE ANIME DI NOTTE di Kent Haruf



Leggere immediatamente dopo il primo, Benedizione, un altro libro di Kent Haruf ( l'ultimo libro pubblicato postumo) stimola il piacere di ritrovare la scrittura asciutta e intensa che ha accompagnato nella lettura del primo. Non c'è più l'effetto meraviglia che ho provato gustando come una continua scoperta la prima volta che ho letto questo autore. Sentivo l'aspettativa di ritrovare lo stile, i dialoghi, le precise descrizioni mai ridondanti, lo stimolo ad immaginare Holt senza riuscirci (la nostra esperienza dell'Ovest è stata troppo breve e percorsa troppo velocemente per poter memorizzare una ipotetica cittadina di quelle lande). Sapevo che avrei goduto del racconto anche se un piccolo tarlo mi rodeva. Quando leggo un libro che mi entusiasma ho sempre timore di non trovare lo stesso livello di narrazione e di scrittura in secondo libro dello stesso autore (faccio un esempio: dopo aver letto Patria ho fatto molto fatica con I rondoni).

E' stato un timore infondato. Certo io non sono così sofisticato da sapere discernere con una critica analitica la possibile differente qualità dei diversi libri.

E allora molto semplicemente scrivo che LE NOSTRE ANIME DI NOTTE mi è piaciuto molto. La vicenda particolare, scandalosa forse per la pianura americana, la cintura della Bibbia, ma che da noi sarebbe vista con molta benevolenza e affetto, di Addie Moore e Louis Waters è insieme strana e realistica. Seguendo l'evolversi ci appare quasi naturale. 

Non so come spiegare, ammiro in Haruf la capacità di calare la vicenda che narra nella vita concreta e verosimile di persone normali. Leggo questo libro formato in una cultura europea laica e illuminista che è sicuramente molto diversa dall'humus culturale nel quale crescono personaggi dell'America profonda, quindi posso avere una sorta di pregiudizio. Però sento vicine quelle persone, quelle esperienze, quelle scelte. Mi sembra che sappia scavare oltre lo stereotipo con il quale a volte immaginiamo quel mondo, e vediamo emergere le persone che hanno desideri, dolori, fanno errori, fanno male a chi sta vicino e subiscono male da chi sta vicino, comunicano e non comunicano, appartengono a un microcosmo e all'umanità. E, per me una delle caratteristiche grandi di Haruf, tutto narrato con una scrittura asciutta, senza eccessi, senza patetismi, senza caricare le situazioni di emozioni più grandi della realtà. Forse i giovani scrittori che abbiamo conosciuto una riflessione sullo stile di Haruf la dovrebbero fare (la dovrebbero fare anche famosi giallisti che fanno dell'eccesso emotivo lo stile narrativo che li rende abbastanza tutti uguali)

Questo è il libro di Haruf che discuteremo nel gruppo di lettura il 26 settembre, mi sembra sia stata un'ottima scelta.

sabato 22 luglio 2023

BENEDIZIONE di Kent HARUF

 BENEDIZIONE di Kent HARUF



Non smetterò mai di essere grato al gruppo di lettura della associazione Amici del Gabbiano di Trezzo. Da cinque anni la frequentazione di questo gruppo mi ha consentito di scoprire autori straordinari che non conoscevo e che di mia sponte non avrei frequentato. Seguendo passo a passo le proposte ho potuto, anche in tarda età, godere della lettura di, non esito a definirli tali, veri e propri capolavori. Opere finissime e pregnanti che rendono IL LIBRO, lo scrive e il leggere una delle attività più importanti, forse come dice Irene Vallejo la più importante, della storia dell'umanità. Tra l'altro INTERNAZIONALE di questa settimana dedica la sua copertina a L'INVENZIONE DELLA SCRITTURA. "E' una delle innovazioni più geniali della storia dell'umanità. Cosa bisogna fare per garantirle un futuro".

Prima della pausa estiva il gruppo di lettura ha deciso, grazie all'amica che lo ha suggerito, di leggere per l'incontro di fine settembre, LE NOSTRE ANIME DI NOTTE di Kent Haruf. Stimolato dal lungo periodo di attesa ho preso un po' di libri di Haruf per conoscere l'autore e nell'attesa di leggere questo citato, ora lo sta leggendo Antonella, ho letto BENEDIZIONE. Che gran libro. Come al solito mi dispiaccio per non avere il vocabolario e gli strumenti di analisi per dire perché è un libro bello e scritto benissimo. Posso solo dire che ho apprezzato ogni pagina, ogni scena, ogni dialogo. La storia è semplice: l'ultima estate di un uomo del Colorado, di questa mitica cittadina di Holt, che sta morendo di cancro, ed è amorevolmente accudito dalla moglie (una coppia tenera e affiatata) e dalla figlia. Attorno si muovono figure che compongono parte della comunità. In questa vicenda apparentemente dolorosa ma banale il microcosmo attorno al protagonista, e il protagonista stesso, vivono drammi passati, disagi presenti e la loro difficoltà di vivere. Non è importante la trama, che anzi va gustata man mano che si sviluppa senza sapere troppo prima. Ciò che affascina e rapisce è la profondità dello scavo di Haruf in ciascun personaggio, con una scrittura delicata e scevra da qualsiasi eccesso. Tutto ciò che compone una vita umana personale e di relazione è compreso nelle vicende dei personaggi (violenza, sesso, amicizia, rettitudine, amore, tradimento, inadeguatezza, conformismo, durezza, generosità, depressione, incapacità di comprendere, di dare una seconda possibilità, di accettare l'altro, l'incomunicabilità tra padri e figli, i rimpianti di ciò che non si può recuperare), è narrato senza compiacersi in eccessi ma (come si legge nella presentazione) "senza mai alzare la voce, intrattenendo una conversazione intima con il lettore che ha il tocco della poesia"

venerdì 14 luglio 2023

LE GUERRE DELL'OPPIO di Sergio Valzania

 LE GUERRE DELL'OPPIO  di Sergio Valzania



Il 18 ottobre 1860 sotto il comando di Lord Elgin, plenipotenziario della corona inglese, le truppe anglo francesi distrussero per vendetta il Yuan Ming Yuan (la residenza estiva dell'imperatore cinese) depredandolo. 

Lord Elgin figlio di tanto padre. Il precedente Lord Elgin fu colui che depredò il Partenone dei marmi che oggi sono al British Museum.

Torniamo allo Yuan Ming Yuan. Si trovano in rete le motivazioni perché i resti del palazzo non vengono restaurati per scelta del governo cinese: essi sono una ammonizione ai cinesi su cosa è accaduto loro, nel secolo delle umiliazioni, quando non erano vigili e pronti a reagire per difendere l'integrità della Cina. 

La violenza perpetrata dalle potenze imperialiste dell'epoca, succedute alle azioni della Compagnia delle Indie Orientali, sono commesse per pura avidità e sono ingiustificabili, ma, come si legge anche nel bel libro di Valzania, l'incapacità del governo imperiale cinese nell'uscire da un inutile e improvvido isolamento tecnologico e politico è concausa delle sofferenze subite dai cinesi. Non c'è scelta se si è attaccati, o si è in grado di resistere e reagire o si soccombe anche nella ragione e in sfregio ad ogni diritto.

A me questo libro è piaciuto, mi è sembrato proporre un giusto equilibrio tra analisi storica e divulgazione, la dettagliata descrizione degli avvenimenti e la loro spiegazione ha consentito di realizzare un'opera che è comprensibile anche da un lettore medio.

Ho trovato particolarmente interessante il momento storico analizzato, un buon modo per iniziare a sviluppare un percorso di conoscenza e di studio del far east, del vero centro del mondo odierno. Se è vero che il mondo è interconnesso (anche se si legge che la globalizzazione viene smontata a favore di legami tra amici e libri come Connectography di Parag Khanna appaiono lontanissimi e messi in dubbio -ed è solo del 2016), quello che serve è capire come si legano i fili della interconnessione, dove questi fili sono più tesi e sotto pressione, e soprattutto dove ci sono le mani che li tirano. E a mio avviso la Cina, e tutto il far east sono un centro nevralgico da conoscere e capire oltre gli stereotipi. Ci sono molti bravi giornalisti e scrittori, Giada Messetti, Giulia Pompili, Simone Pieranni, Alessandro Aresu, Alessandra Colarizi, Lorenzo Lamperti che ci aiutano a capire meglio quella realtà odierna, e tutti mi sembra ci aiutano a comprendere come eventi storici che con il nostro sguardo possiamo vedere lontano, male o trascurare, per loro sono centrali. Ecco quindi l'importanza per esempio di conoscere meglio un momento importantissimo come le guerre dell'oppio, i trattati ineguali, il secolo dell'umiliazione. Si può capire un po' di più la Cina di oggi conoscendo meglio la Cina di ieri. E questo bel libro è un valido aiuto. 

#giadamessetti

#giuliapompili

#simonepieranni

#alessandroaresu

#alessandracolarizi

#lorenzolamperti

domenica 9 luglio 2023

SATOSHI YAGISAWA _ I MIEI GIORNI ALLA LIBRERIA MORISAKI

 

SATOSHI YAGISAWA

I MIEI GIORNI ALLA LIBRERIA MORISAKI



Mi capita, con rara frequenza, di leggere romanzi giapponesi, di diversa qualità e di diverso stile. Lo faccio spinto dalla curiosità (anche stimolata dalla fama che alcuni hanno raggiunto, e dal lancio di cui godono sugli inserti dei giornali o in alcune trasmissioni radio) e lo faccio perché sono notoriamente affascinato dal Giappone (una fascinazione più superficiale che per approfondita conoscenza).

Ho voluto leggere questo “i miei giorni alla libreria Morisaki”. Bello, letto con piacere. Ma rimasto nello strato di un bel paio di giorni in compagnia di una storia e di una protagonista con la quale si è entrati in simpatia e si è salutata senza nostalgia quando ci siamo lasciati.

Non è banale, un libro nel quale la terapia alla depressione che in diverse fasi della vita colpisce i protagonisti sono i libri e le libreria non può mai essere banale. In questo particolarmente sono i libri usati, vecchi, che conservano le tracce (i fiori secchi trovati tra le pagine) di storie precedenti. Non vorrei essere irrispettoso, ma le mie vecchie targhe senza valore, graffiate e malmesse, hanno la stessa “storia” da raccontare, una vita precedente a quella che vivono con me, che una bellissima “mint” non avrebbe.

Cerco in questi libri l’esotico, il “giapponese” Non mancano in questo cibi e locali che sono riportati in originale, e poi spiegati nel glossario.  Ma la più peculiare descrizione del Giappone l’ho trovata quando, andando Takako (la protagonista io narrante) con la zia verso un santuario sui monti fuori Tokyo, sul bus incontrano dei bambini che tornano a casa da scuola da soli. Sono bambini delle elementari, di prima. Che abitano in altura e quindi devono muoversi con i bus per andare a scuola. Questa per me è l’immagine del Giappone (e a Hiroshima l’ho vista con i miei occhi) del tipo che cerco in questi libri.

Mi sembra che sia uscito un secondo libro di questa serie (un po’ come la serie di Toshikazu Kawaguchi). Sarà un ottimo libro, scritto bene, da leggere godendo del relax che sa offrire.

sabato 8 luglio 2023

CAMILLA GHIOTTO_ TEMPESTA. Non è mai troppo tardi per imparare ad essere figli, né per riannodare la memoria al presente.

 

CAMILLA GHIOTTO

TEMPESTA. Non è mai troppo tardi per imparare ad essere figli, né per riannodare la memoria al presente.

 


Non ho cultura e strumenti tecnici per scrivere con cognizione di causa e proprietà di questo libro di Camilla Ghiotto, eppure non resisto. Pur banali e confusi che siano,  desidero mettere su carta alcuni pensieri, che cercheranno di spiegare quanto questo libro mi abbia colpito, mi sia piaciuto, abbia il desiderio che le persone che amo lo leggano, e di quanta stima nutra per una giovane che ha quasi l’età dei miei figli.

Per un caso sono stato incaricato dalla associazione Amici del gabbiano di intervistare Camilla Ghiotto quando è stata ospite nella nostra libreria Il gabbiano a Trezzo. Ho quindi diligentemente letto il libro, ringraziando il caso, man mano che lo leggevo, che mi ha fatto prendere questo incarico. Magari senza di esso non avrei avuto la curiosità di leggerlo. Come non hanno avuto la curiosità in molti di venire ad ascoltare la presentazione e a scegliere di leggere il libro. Parafrasando il sottotitolo, non è mai troppo tardi, il libro in libreria c’è, e su you tube si può ascoltare Camilla parlare del suo libro.

Paradossalmente credo che se il titolo è un omaggio al padre, comandante Partigiano con quel nome di battaglia, le due frasi di sottotitolo siano il più sintetico ma più preciso riassunto del libro, la traccia che il racconto di Camilla Ghiotto segue nel suo percorso di crescita come figlia (che parte con un “non gli ho mai fatto le domande giuste… vorrei che la morte smettesse di essere irreversibile”) e come cittadina che ha un doppio esito, in un bellissimo dialogo con Tommaso e con un intervento pubblico che invito a raggiungere quasi al termine di circa 300 pagine necessarie.

La doppia trama, il racconto di Camilla che inizia dalla morte del padre (ricordiamo perché importante, di 75 anni più vecchio di lei) e che è intercalato dalle pagine intense ma scevre da ogni retorica eroica del manoscritto del padre Partigiano, è indovinata. Direi che è in dialogo tra Camilla e il padre. Un dialogo che ci accompagna, che comprendiamo, con domande che sono le nostre domande (anche per me che anagraficamente sono della generazione della mamma di Camilla) e che sono comunque parte di quella Italia liberata da chi, come il Renzo Ghiotto – nato nel fascismo, educato nel fascismo, formato nel fascismo – ha sentito dentro di sé la legge morale e ha saputo scegliere, e mettersi a repentaglio, per qualcosa che non aveva mai conosciuto, la democrazia.

È un racconto di formazione, è un romanzo civile, è la storia di una persona che è consapevole che le occasioni si perdono e non si possono recuperare, ma che accetta questo limite e scopre che, come dicevamo, non è mai tardi per imparare a essere figli. E questo vale per tutti, anche per anziani che ricordano ciò che non c’è stato con i loro genitori.

Ma, e questo a mio avviso è un pregio, con una scrittura che emoziona, commuove a volte, purtuttavia sempre rigorosa, non retorica e non patetica. Lucida. A me viene questo termine. Camilla Ghiotto è lucida anche nella sincerità nell’esporsi. Evitando l’eccesso consente al lettore di rimanere concentrato sul messaggio e contemporaneamente essere empatico con lei (poi mi piacerebbe sapere con che differenti gradi di empatia. A me anziano suscita una empatia che forse sarà diversa da un coetaneo o co-generazionale).

È, dicevo, un romanzo civile, perché il personaggio, i personaggi, non si muovono nei recinti delle loro problematiche, vivono nella realtà civile e politica. Comprendono che non esiste un relativismo politico, certe scelte hanno conseguenze che altre evitano. Sanno scegliere la veglia e non il sonno. E lo dicono, lo agiscono (se posso usare questa strana forma verbale). Camilla alza la testa, pensando a suo padre, e vede sopra di sé il cielo stellato, e sente dentro di sé la legge morale.

Ci sarebbero molte altre cose da dire, invito ad andare a cercare recensioni che sappiano spiegare meglio perché questo è un grande libro. A noi della associazione rimane il piacere di averla ospitata e a me personalmente l’onore di averla intervistata.

martedì 4 luglio 2023

ESSERE LUPO di Kerstin Ekman

 

ESSERE LUPO di Kerstin Ekman



Lo ammetto, ho due caratteristiche: una predilezione per l’esotico e una particolare attrazione per gli estremi ( l’estremo nord e l’estremo sud. Nordkapp e Ushuaia per spiegarsi. Spoiler. Quale è la cosa da fare prima di morire a cui tengo di più: sbarcare a Cabo de Hornos).

Discende da questa premessa una curiosità particolare verso molti libri Iperborea, e questo è compreso. Non tradisce, nella sua storia semplice e drammatica, le aspettative. Mi è piaciuto cogliere quegli aspetti della vita nella Svezia profonda, dove il clima – che pure mostra segni di cambiamento – incide sulla vita delle persone. I nonni che alle quattro del pomeriggio vanno a dormire tanto con la tormenta in atto cosa potevano fare (mi ha fatto tornare in mente quella sera a Trondheim quando, tanto pioveva, Antonella ed io non riuscimmo neppure ad uscire dalla Air Camping e rimanemmo a letto dal tardo pomeriggio fino al giorno dopo saltando la cena, e ascoltando la musica folk norvegese dalla radio dei vicini di piazzola). Oppure al contrario la lotta contro la luce continua della estate per riuscire a dormire. O ancora come ci si muova sempre con gli sci a portata per percorrere tratti innevati.

Ma questo libro non è ovviamente solo questo, non regala solo la soddisfazione del curioso che cerca, in questa triste epoca di uniformità dominante, ancora stralci di abitudini specifiche del luogo del romanzo.

E’ un libro profondo, bello, delicato, triste, consolante, duro.

E’ un libro da leggere con quella lentezza cui siamo indotti immaginando un paesaggio sommerso dalla neve come può essere il Grande Nord, in realtà sempre più sconvolto dal cambiamento climatico. Io ho il vizio di leggere velocemente (e più libri alla volta). Per cogliere la finezza della profondità umana di questo racconto di poco più di un anno di vita di Ulf, un anno fondamentale pur in età anziana, ho dovuto rileggerlo. Perché secondo me Ekman è bravissima nel condurre, narrando una storia familiare (che bella coppia con Inga, che lo stana quando non vuole pulire lo scaffale basso della libreria nelle pulizie di primavera e lo rimette in riga) nella quale si inserisce un dramma apparentemente minore, verso tematiche epocali. La visione di un lupo solitario e maestoso scatena, come un reagente, la crisi di Ulf. Non la solita crisi del maschio, di mezza o tarda età (che, sia detto, ne abbiamo abbastanza. E anche basta con queste “crisi del maschio”. Abbiamo anche altro da fare che entrare in crisi invecchiando, per esempio morire più lentamente!). No, la crisi di Ulf è quella di un essere vivente, essere umano,  dotato di parola e di capacità di nominare gli altri animali e le cose, di capacità di astrazione, inserito in un contesto di continua imperterrita antropizzazione della natura che lo circonda, trovando motivazioni giustificatrici per non porsi le vere domande sugli esiti del proprio intervento. E questo non in viale Lombardia a Trezzo o lungo la A4, ma nel mezzo della Svezia che noi immaginiamo, dalle nostre latitudini, essere in piena sintonia con una natura rigogliosa. Io trovo che queste riflessioni maturate da una persona che vive le problematiche della sua vita (compreso un infarto), a partire da un evento che non è vissuto come banale, ma come apertura di una valvola che libera un malessere che maturava nella sua coscienza, siano un punto di forza del libro, proprio nel non far discendere il sermone dalla montagna. La bellezza del personaggio di Ulf è che si lascia stupire, anche dopo una vita abbastanza lunga. Meglio: si lascia meravigliare. Ma la crisi di Ulf, che lo costringe e rimettere in discussione ataviche abitudini, (dirà, ricordando la sua vita da cacciatore: TUTTI quelli che ho ucciso, e non TUTTO quella che ho ucciso, come Inga gli fa notare) consuetudini apparentemente indiscutibili, scelte che ha compiuto in buona fede o per quieto vivere, lo mettono in contrasto anche con una società, quella del suo ambiente sociale, che non riesce a vedere oltre il semplice presente. Da italiano immerso in un individualismo tossico mi chiedo se questa capacità di Ulf e Inga di uscire dal conformismo, anche benefico, di una società come quella svedese possa essere un gesto di maggior forza di quanto possa capire io. Pensa Ulf: “ e forse, tra l’altro, siamo servi della gleba pure noi. Una sorta di bestiame di livello superiore, di proprietà di un potere che organizza tutto al meglio per il nostro benessere”.

Un gran bel libro infine, e sono contento che il gruppo di lettura della associazione Amici del gabbiano lo discuta il prossimo 11 luglio. Una scelta veramente azzeccata.

sabato 7 gennaio 2023

GABRIELE NISSIM: AUSCHWITZ NON FINISCE MAI. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi.



GABRIELE NISSIM: AUSCHWITZ NON FINISCE MAI. La memoria della Shoah e i nuovi genocidi.

Per presentare quest'ultima opera di Gabriele Nissim, fondatore e presidente di GARIWO creatrice del Giardino dei Giusti a Milano, sarebbe stato sufficiente linkare una delle molte autorevoli recensioni che posso trovare sul sito web della associazione.

Queste mie parole non aggiungono nulla a quanto è stato detto di interessante a proposito di questo libro. Perché allora scriverne?

Perché è un libro bello, interessante, avvincente, stuzzicante e stimolante, oltre che fonte di conoscenza? Sì. Ma non solo.

E' la base di partenza del lettore e non dello scrittore che motiva questa scelta di condividere qualche pensiero sul libro

Bejski, Lemkin, la definizione della parola “genocidio”.

Quante novità mi si palesano nel corso della lettura.

La vastità non misurabile della mia ignoranza, pur giunto in tarda età, non mi stupisce ma, soprendentemente, neppure mi avvilisce. La vivo come una opportunità. Come un esploratore che mosso dalla curiosità non si stanca di fare un passo in più, di scoprire cose nuove, di apprendere.

Devo ringraziare il lavoro che l'associazione Amici del gabbiano (della libreria Il gabbiano di Trezzo) promuove, di ricerca e di studio. Partecipando al lavoro di questa associazione sono coinvolto in questa attività di studio e ricerca per la restituzione pubblica a chi vuole condividere.

La scelta della associazione per il 2023 di approfondire la conoscenza dei Giusti tra le nazioni nell'ambito delle iniziative per il Giorno della Memoria ci ha condotti a Gariwo, e di conseguenza a Nissim, e a cascata sul suo ultimo libro scritto, poi su libri di altri autori citati (per esempio Yehuda Bauer: Ripensare l'Olocausto, o Avraham Bug: Sconfiggere Hitler) e su altri libri scritti da Nissim stesso.

In “Auschwitz non finisce mai” Nissim parte da una domanda scomoda: sacralizzare il concetto di unicità della Shoah per non metterla mai in discussione per gli Ebrei è una trappola o un salvagente?

La Shoah ha caratteristiche di unicità ( come la decisa volontà di assassinare tutti gli ebrei in tutte le parti del mondo dove i nazisti avessero potuto dettare legge e avere il potere di farlo, per la sola colpa degli ebrei – citando la senatrice Segre- di essere nati), ma questo fatto non deve creare una gerarchia del dolore tra i genocidi che ci sono stati nella storia umani (prima e dopo la Shoah) o creare una separazione tra gli Ebrei e il resto della umanità

Cito: “il professor Yehuda Elkana ha scritto che dalla Shoah sono usciti due popoli. Una maggioranza che dice -questo non succederà più a noi-.Costoro monitorano costantemente l'antisemitismo nel mondo e le minacce nei confronti dello Stato ebraico. C'è invece una minoranza che dice – questo non succederà mai più- . Costoro ritengono che la prevenzione dell'odio e dei genocidi debba riguardare tutta l'umanità, non solo perché il male non colpisce soltanto gli ebrei ma perché gli ebrei fanno parte di tutta l'umanità.”

Non è un meccanismo esclusivo degli ebrei, appartiene ad altr popoli che hanno vissuto esperienze genocidarie, ma la vicenda della Shoah (e probabilmente l'essere Ebreo per Nissim) porta ad evidenziare questo rischio in particolare in questa occasione.

Mi sembra che si inscriva perfettamente in questo ragionamento inclusivo delle sofferenze della umanità e nella consapevolezza che la lotta contro i genocidi è una lotta comune, come illustrata nel libro, la vicenda di Gariwo che deriva dall'opera della commissione presso lo Yad Vashem per la creazione del giardino dei Giusti tra le Nazioni a Gerusalemme, soprattutto sotto la spinta di Moshe Bejski, ampliando tale risconosimento dalla memoria della Shoah a quella di tutte le persecuzioni.

In un certo senso naturalmente Nissim introduce nella seconda parte del libro la ricostruzione della figura di Raphael Lemkin (a me assolutamente sconosciuta prima della lettura di questo libro, come lo era la figura di Bejski), “inventore” del termine genocidio e fautore (con dedizione che suscita una grandissima ammirazione) della Convenzione per la prevenzione e la repressione del crimine di genocidio approvata nel 1948 all'ONU.

Credo di aver espresso con scarsa proprietà alcuni dei motivi per i quali credo che la opportunità di ascoltare e discutere con Gabriele Nissim a Trezzo il 19 gennaio in libreria Il gabbiano sia preziosa per il nostro ambito territoriale, e meriti di non essere persa.

Ma, indipendentemente dall'evento suggerito, questo libro è una lettura interessante e coinvolgente, scritta con passione, da leggere con curioso interesse.





venerdì 6 gennaio 2023

PAOLO GIORDANO. TASMANIA

 PAOLO GIORDANO. TASMANIA


Libro letto. Non so bene cosa scrivere. Mi aspettavo di più. Perché e cosa non saprei, non sono deluso ma neppure entusiasta. L'ho letto volentieri ma senza particolare trasporto, senza molta emozione. Ecco, direi che è uno specchio esatto di quanto mi ha trasmesso il libro, una storia di persone senza emozioni, non completamente apatiche ma neppure completamente vive, un po' polverose, un po' trascinate negli eventi, anche i personaggi meno piacevoli non brillano di negatività. Forse noi persone siamo così, forse è il nostro modo di vivacchiare questa vita. Forse le condizioni di benessere per essere nati dalla parte giusta del mondo e con il colore giusto della pelle ci consentono e ci condannano a vivacchiare. Non saprei. E' vero che la vita è un susseguirsi di azioni che se viste dalla luna potrebbero apparire senza un vero senso, ma in questo vivere costretto forse illudendoci troviamo piccoli attimi di felicità, per citare, mi sembra, un libro che voleva senza riuscirci molto essere divertente. O di commozione. Ecco forse alla fine il protagonista esce dal torpore trovando la risposta a perché scrive un libro sulla bomba atomica: "scrivo di ogni cosa che mi ha fatto piangere". Piangere è una delle rappresentazioni più umane che esistano.

Scrivevo che non ci sono personaggi che spiccano in questo libro. Non è vero. C'è un personaggio formidabile, ed è Lorenza, la moglie. L'ho trovata una figura umana straordinaria, e averla resa così, quasi tra le righe, senza calcare la mano in modo emozionale nella sua rappresentazione è a mio avviso un valore del libro di Giordano.

Dopo una operazione a un occhio (Paolo- è il nome del protagonista - aveva detto un tempo che scegliendo tra i cinque sensi avrebbe conservato l'udito, ma ora si ricrede, e ci sarebbe una discussione da fare sul significato della preferenza tra i due sensi) Lorenza gli dice "Non devi mai vergognarti con me. Mai. Perché nulla, assolutamente nulla di ciò che sei suscita la mia riprovazione" - e scusate la banalità ma questo è il senso della vita di coppia. Ho trovato questa frase il punto più alto del libro che pure contiene molte altre argute riflessioni.

Per esempio su come il discorso sui cambiamenti climatici non riesca a coinvolgerci veramente (e in questo caso penso a Elena Granata che verrà in libreria Il gabbiano a Trezzo a parlare della necessità di far innamorare anche i disattenti della cura dell'ambiente). 

Oppure di come la frase che pare scolpita nella pietra " I dati non mentono. Lo fanno, a volte, le persone. Ma i dati no, sono quel che sono e basta. Fornitemi delle misure accurate e io saprò dirvi la verità sul mondo", che è vera e indubitabile, ma che  mostra le crepe (come dimostrerà la vicenda umana di chi l'ha pronunciata) perché i dati non hanno voce, sono raccontati dalle persone (che a volte mentono, che a volte travisano, che a volte forniscono solo alcuni dati o li forniscono in modo surrettizio.

Insomma, è un buon libro, merita una seconda lettura tra qualche tempo, più lenta, più meditata, ma complessivamente per ora non mi ha entusiasmato. Lo consiglio perché sono sicuro che altri occhi e altre menti, leggendolo, potrebbero farmi notare elementi di valore e di grandezza che mi sono sfuggiti, in modo da poter modificare il mio giudizio.