mercoledì 26 luglio 2023

CANTO DELLA PIANURA _ di Kent Haruf

 CANTO DELLA PIANURA _ di Kent Haruf

Con questo penso che immersione felice nelle storie di Kent Haruf avrà una temporanea fine. Perché altri libri, altrettanto appassionanti anche se di diverso contenuto mi aspettano da tempo - in questi giorni non riuscivo quasi a leggere altro e loro sono rimasti in ordine ad attendermi (chi è più paziente di un libro?) - e anche perché proprio l'entusiasmo, direi l'innamoramento, verso un autore ha la necessità di un periodo di decantazione, di allontanamento per poter rielaborare nel subconscio quanto si è "ingurgitato" con famelica passione  per far tornare in qualche angolo della mente predisposta all'uopo i momenti, le pagine, i particolari, i personaggi,  per scoprire anche difetti, avere una visione più critica, e suscitare quella nostalgia che magari ti fa riprendere le pagine, gustandole con minor fretta una seconda volta, scoprendo quindi qualche aspetto nuovo, qualche particolare sfuggito, qualche gemma che non ha brillato abbastanza nella prima lettura.

Anche questo libro non ha tradito. Mi è sembrato leggermente differente dagli altri, forse per la struttura che ricorda una piazza alla quale adducono vie diverse, che a volte si incrociano ma che proseguono ciascuna un proprio percorso prima della congiunzione finale. Anche l'esito è differente, non voglio togliere nessuna scoperta a chi non lo ha ancora letto, e quindi mi taccio su questo. I personaggi mi sembrano più "tipi" - ma non stereotipi - rispetto agli altri che ho letto. Sono personaggi belli nella loro imperfezione, nei loro drammi, anche quelli più duri sono vicende e drammi nei quali ci si può riconoscere anche se non si sono vissuti, fortunatamente, di simili perché appunto non eccessivi, direi verosimili.

La scrittura è sempre affascinante e così poeticamente semplice che invidio Haruf per il suo talento.

Un libro, nella mia limitatissima valutazione,  decisamente consigliato.

lunedì 24 luglio 2023

LE NOSTRE ANIME DI NOTTE di Kent Haruf

 LE NOSTRE ANIME DI NOTTE di Kent Haruf



Leggere immediatamente dopo il primo, Benedizione, un altro libro di Kent Haruf ( l'ultimo libro pubblicato postumo) stimola il piacere di ritrovare la scrittura asciutta e intensa che ha accompagnato nella lettura del primo. Non c'è più l'effetto meraviglia che ho provato gustando come una continua scoperta la prima volta che ho letto questo autore. Sentivo l'aspettativa di ritrovare lo stile, i dialoghi, le precise descrizioni mai ridondanti, lo stimolo ad immaginare Holt senza riuscirci (la nostra esperienza dell'Ovest è stata troppo breve e percorsa troppo velocemente per poter memorizzare una ipotetica cittadina di quelle lande). Sapevo che avrei goduto del racconto anche se un piccolo tarlo mi rodeva. Quando leggo un libro che mi entusiasma ho sempre timore di non trovare lo stesso livello di narrazione e di scrittura in secondo libro dello stesso autore (faccio un esempio: dopo aver letto Patria ho fatto molto fatica con I rondoni).

E' stato un timore infondato. Certo io non sono così sofisticato da sapere discernere con una critica analitica la possibile differente qualità dei diversi libri.

E allora molto semplicemente scrivo che LE NOSTRE ANIME DI NOTTE mi è piaciuto molto. La vicenda particolare, scandalosa forse per la pianura americana, la cintura della Bibbia, ma che da noi sarebbe vista con molta benevolenza e affetto, di Addie Moore e Louis Waters è insieme strana e realistica. Seguendo l'evolversi ci appare quasi naturale. 

Non so come spiegare, ammiro in Haruf la capacità di calare la vicenda che narra nella vita concreta e verosimile di persone normali. Leggo questo libro formato in una cultura europea laica e illuminista che è sicuramente molto diversa dall'humus culturale nel quale crescono personaggi dell'America profonda, quindi posso avere una sorta di pregiudizio. Però sento vicine quelle persone, quelle esperienze, quelle scelte. Mi sembra che sappia scavare oltre lo stereotipo con il quale a volte immaginiamo quel mondo, e vediamo emergere le persone che hanno desideri, dolori, fanno errori, fanno male a chi sta vicino e subiscono male da chi sta vicino, comunicano e non comunicano, appartengono a un microcosmo e all'umanità. E, per me una delle caratteristiche grandi di Haruf, tutto narrato con una scrittura asciutta, senza eccessi, senza patetismi, senza caricare le situazioni di emozioni più grandi della realtà. Forse i giovani scrittori che abbiamo conosciuto una riflessione sullo stile di Haruf la dovrebbero fare (la dovrebbero fare anche famosi giallisti che fanno dell'eccesso emotivo lo stile narrativo che li rende abbastanza tutti uguali)

Questo è il libro di Haruf che discuteremo nel gruppo di lettura il 26 settembre, mi sembra sia stata un'ottima scelta.

sabato 22 luglio 2023

BENEDIZIONE di Kent HARUF

 BENEDIZIONE di Kent HARUF



Non smetterò mai di essere grato al gruppo di lettura della associazione Amici del Gabbiano di Trezzo. Da cinque anni la frequentazione di questo gruppo mi ha consentito di scoprire autori straordinari che non conoscevo e che di mia sponte non avrei frequentato. Seguendo passo a passo le proposte ho potuto, anche in tarda età, godere della lettura di, non esito a definirli tali, veri e propri capolavori. Opere finissime e pregnanti che rendono IL LIBRO, lo scrive e il leggere una delle attività più importanti, forse come dice Irene Vallejo la più importante, della storia dell'umanità. Tra l'altro INTERNAZIONALE di questa settimana dedica la sua copertina a L'INVENZIONE DELLA SCRITTURA. "E' una delle innovazioni più geniali della storia dell'umanità. Cosa bisogna fare per garantirle un futuro".

Prima della pausa estiva il gruppo di lettura ha deciso, grazie all'amica che lo ha suggerito, di leggere per l'incontro di fine settembre, LE NOSTRE ANIME DI NOTTE di Kent Haruf. Stimolato dal lungo periodo di attesa ho preso un po' di libri di Haruf per conoscere l'autore e nell'attesa di leggere questo citato, ora lo sta leggendo Antonella, ho letto BENEDIZIONE. Che gran libro. Come al solito mi dispiaccio per non avere il vocabolario e gli strumenti di analisi per dire perché è un libro bello e scritto benissimo. Posso solo dire che ho apprezzato ogni pagina, ogni scena, ogni dialogo. La storia è semplice: l'ultima estate di un uomo del Colorado, di questa mitica cittadina di Holt, che sta morendo di cancro, ed è amorevolmente accudito dalla moglie (una coppia tenera e affiatata) e dalla figlia. Attorno si muovono figure che compongono parte della comunità. In questa vicenda apparentemente dolorosa ma banale il microcosmo attorno al protagonista, e il protagonista stesso, vivono drammi passati, disagi presenti e la loro difficoltà di vivere. Non è importante la trama, che anzi va gustata man mano che si sviluppa senza sapere troppo prima. Ciò che affascina e rapisce è la profondità dello scavo di Haruf in ciascun personaggio, con una scrittura delicata e scevra da qualsiasi eccesso. Tutto ciò che compone una vita umana personale e di relazione è compreso nelle vicende dei personaggi (violenza, sesso, amicizia, rettitudine, amore, tradimento, inadeguatezza, conformismo, durezza, generosità, depressione, incapacità di comprendere, di dare una seconda possibilità, di accettare l'altro, l'incomunicabilità tra padri e figli, i rimpianti di ciò che non si può recuperare), è narrato senza compiacersi in eccessi ma (come si legge nella presentazione) "senza mai alzare la voce, intrattenendo una conversazione intima con il lettore che ha il tocco della poesia"

venerdì 14 luglio 2023

LE GUERRE DELL'OPPIO di Sergio Valzania

 LE GUERRE DELL'OPPIO  di Sergio Valzania



Il 18 ottobre 1860 sotto il comando di Lord Elgin, plenipotenziario della corona inglese, le truppe anglo francesi distrussero per vendetta il Yuan Ming Yuan (la residenza estiva dell'imperatore cinese) depredandolo. 

Lord Elgin figlio di tanto padre. Il precedente Lord Elgin fu colui che depredò il Partenone dei marmi che oggi sono al British Museum.

Torniamo allo Yuan Ming Yuan. Si trovano in rete le motivazioni perché i resti del palazzo non vengono restaurati per scelta del governo cinese: essi sono una ammonizione ai cinesi su cosa è accaduto loro, nel secolo delle umiliazioni, quando non erano vigili e pronti a reagire per difendere l'integrità della Cina. 

La violenza perpetrata dalle potenze imperialiste dell'epoca, succedute alle azioni della Compagnia delle Indie Orientali, sono commesse per pura avidità e sono ingiustificabili, ma, come si legge anche nel bel libro di Valzania, l'incapacità del governo imperiale cinese nell'uscire da un inutile e improvvido isolamento tecnologico e politico è concausa delle sofferenze subite dai cinesi. Non c'è scelta se si è attaccati, o si è in grado di resistere e reagire o si soccombe anche nella ragione e in sfregio ad ogni diritto.

A me questo libro è piaciuto, mi è sembrato proporre un giusto equilibrio tra analisi storica e divulgazione, la dettagliata descrizione degli avvenimenti e la loro spiegazione ha consentito di realizzare un'opera che è comprensibile anche da un lettore medio.

Ho trovato particolarmente interessante il momento storico analizzato, un buon modo per iniziare a sviluppare un percorso di conoscenza e di studio del far east, del vero centro del mondo odierno. Se è vero che il mondo è interconnesso (anche se si legge che la globalizzazione viene smontata a favore di legami tra amici e libri come Connectography di Parag Khanna appaiono lontanissimi e messi in dubbio -ed è solo del 2016), quello che serve è capire come si legano i fili della interconnessione, dove questi fili sono più tesi e sotto pressione, e soprattutto dove ci sono le mani che li tirano. E a mio avviso la Cina, e tutto il far east sono un centro nevralgico da conoscere e capire oltre gli stereotipi. Ci sono molti bravi giornalisti e scrittori, Giada Messetti, Giulia Pompili, Simone Pieranni, Alessandro Aresu, Alessandra Colarizi, Lorenzo Lamperti che ci aiutano a capire meglio quella realtà odierna, e tutti mi sembra ci aiutano a comprendere come eventi storici che con il nostro sguardo possiamo vedere lontano, male o trascurare, per loro sono centrali. Ecco quindi l'importanza per esempio di conoscere meglio un momento importantissimo come le guerre dell'oppio, i trattati ineguali, il secolo dell'umiliazione. Si può capire un po' di più la Cina di oggi conoscendo meglio la Cina di ieri. E questo bel libro è un valido aiuto. 

#giadamessetti

#giuliapompili

#simonepieranni

#alessandroaresu

#alessandracolarizi

#lorenzolamperti

domenica 9 luglio 2023

SATOSHI YAGISAWA _ I MIEI GIORNI ALLA LIBRERIA MORISAKI

 

SATOSHI YAGISAWA

I MIEI GIORNI ALLA LIBRERIA MORISAKI



Mi capita, con rara frequenza, di leggere romanzi giapponesi, di diversa qualità e di diverso stile. Lo faccio spinto dalla curiosità (anche stimolata dalla fama che alcuni hanno raggiunto, e dal lancio di cui godono sugli inserti dei giornali o in alcune trasmissioni radio) e lo faccio perché sono notoriamente affascinato dal Giappone (una fascinazione più superficiale che per approfondita conoscenza).

Ho voluto leggere questo “i miei giorni alla libreria Morisaki”. Bello, letto con piacere. Ma rimasto nello strato di un bel paio di giorni in compagnia di una storia e di una protagonista con la quale si è entrati in simpatia e si è salutata senza nostalgia quando ci siamo lasciati.

Non è banale, un libro nel quale la terapia alla depressione che in diverse fasi della vita colpisce i protagonisti sono i libri e le libreria non può mai essere banale. In questo particolarmente sono i libri usati, vecchi, che conservano le tracce (i fiori secchi trovati tra le pagine) di storie precedenti. Non vorrei essere irrispettoso, ma le mie vecchie targhe senza valore, graffiate e malmesse, hanno la stessa “storia” da raccontare, una vita precedente a quella che vivono con me, che una bellissima “mint” non avrebbe.

Cerco in questi libri l’esotico, il “giapponese” Non mancano in questo cibi e locali che sono riportati in originale, e poi spiegati nel glossario.  Ma la più peculiare descrizione del Giappone l’ho trovata quando, andando Takako (la protagonista io narrante) con la zia verso un santuario sui monti fuori Tokyo, sul bus incontrano dei bambini che tornano a casa da scuola da soli. Sono bambini delle elementari, di prima. Che abitano in altura e quindi devono muoversi con i bus per andare a scuola. Questa per me è l’immagine del Giappone (e a Hiroshima l’ho vista con i miei occhi) del tipo che cerco in questi libri.

Mi sembra che sia uscito un secondo libro di questa serie (un po’ come la serie di Toshikazu Kawaguchi). Sarà un ottimo libro, scritto bene, da leggere godendo del relax che sa offrire.

sabato 8 luglio 2023

CAMILLA GHIOTTO_ TEMPESTA. Non è mai troppo tardi per imparare ad essere figli, né per riannodare la memoria al presente.

 

CAMILLA GHIOTTO

TEMPESTA. Non è mai troppo tardi per imparare ad essere figli, né per riannodare la memoria al presente.

 


Non ho cultura e strumenti tecnici per scrivere con cognizione di causa e proprietà di questo libro di Camilla Ghiotto, eppure non resisto. Pur banali e confusi che siano,  desidero mettere su carta alcuni pensieri, che cercheranno di spiegare quanto questo libro mi abbia colpito, mi sia piaciuto, abbia il desiderio che le persone che amo lo leggano, e di quanta stima nutra per una giovane che ha quasi l’età dei miei figli.

Per un caso sono stato incaricato dalla associazione Amici del gabbiano di intervistare Camilla Ghiotto quando è stata ospite nella nostra libreria Il gabbiano a Trezzo. Ho quindi diligentemente letto il libro, ringraziando il caso, man mano che lo leggevo, che mi ha fatto prendere questo incarico. Magari senza di esso non avrei avuto la curiosità di leggerlo. Come non hanno avuto la curiosità in molti di venire ad ascoltare la presentazione e a scegliere di leggere il libro. Parafrasando il sottotitolo, non è mai troppo tardi, il libro in libreria c’è, e su you tube si può ascoltare Camilla parlare del suo libro.

Paradossalmente credo che se il titolo è un omaggio al padre, comandante Partigiano con quel nome di battaglia, le due frasi di sottotitolo siano il più sintetico ma più preciso riassunto del libro, la traccia che il racconto di Camilla Ghiotto segue nel suo percorso di crescita come figlia (che parte con un “non gli ho mai fatto le domande giuste… vorrei che la morte smettesse di essere irreversibile”) e come cittadina che ha un doppio esito, in un bellissimo dialogo con Tommaso e con un intervento pubblico che invito a raggiungere quasi al termine di circa 300 pagine necessarie.

La doppia trama, il racconto di Camilla che inizia dalla morte del padre (ricordiamo perché importante, di 75 anni più vecchio di lei) e che è intercalato dalle pagine intense ma scevre da ogni retorica eroica del manoscritto del padre Partigiano, è indovinata. Direi che è in dialogo tra Camilla e il padre. Un dialogo che ci accompagna, che comprendiamo, con domande che sono le nostre domande (anche per me che anagraficamente sono della generazione della mamma di Camilla) e che sono comunque parte di quella Italia liberata da chi, come il Renzo Ghiotto – nato nel fascismo, educato nel fascismo, formato nel fascismo – ha sentito dentro di sé la legge morale e ha saputo scegliere, e mettersi a repentaglio, per qualcosa che non aveva mai conosciuto, la democrazia.

È un racconto di formazione, è un romanzo civile, è la storia di una persona che è consapevole che le occasioni si perdono e non si possono recuperare, ma che accetta questo limite e scopre che, come dicevamo, non è mai tardi per imparare a essere figli. E questo vale per tutti, anche per anziani che ricordano ciò che non c’è stato con i loro genitori.

Ma, e questo a mio avviso è un pregio, con una scrittura che emoziona, commuove a volte, purtuttavia sempre rigorosa, non retorica e non patetica. Lucida. A me viene questo termine. Camilla Ghiotto è lucida anche nella sincerità nell’esporsi. Evitando l’eccesso consente al lettore di rimanere concentrato sul messaggio e contemporaneamente essere empatico con lei (poi mi piacerebbe sapere con che differenti gradi di empatia. A me anziano suscita una empatia che forse sarà diversa da un coetaneo o co-generazionale).

È, dicevo, un romanzo civile, perché il personaggio, i personaggi, non si muovono nei recinti delle loro problematiche, vivono nella realtà civile e politica. Comprendono che non esiste un relativismo politico, certe scelte hanno conseguenze che altre evitano. Sanno scegliere la veglia e non il sonno. E lo dicono, lo agiscono (se posso usare questa strana forma verbale). Camilla alza la testa, pensando a suo padre, e vede sopra di sé il cielo stellato, e sente dentro di sé la legge morale.

Ci sarebbero molte altre cose da dire, invito ad andare a cercare recensioni che sappiano spiegare meglio perché questo è un grande libro. A noi della associazione rimane il piacere di averla ospitata e a me personalmente l’onore di averla intervistata.

martedì 4 luglio 2023

ESSERE LUPO di Kerstin Ekman

 

ESSERE LUPO di Kerstin Ekman



Lo ammetto, ho due caratteristiche: una predilezione per l’esotico e una particolare attrazione per gli estremi ( l’estremo nord e l’estremo sud. Nordkapp e Ushuaia per spiegarsi. Spoiler. Quale è la cosa da fare prima di morire a cui tengo di più: sbarcare a Cabo de Hornos).

Discende da questa premessa una curiosità particolare verso molti libri Iperborea, e questo è compreso. Non tradisce, nella sua storia semplice e drammatica, le aspettative. Mi è piaciuto cogliere quegli aspetti della vita nella Svezia profonda, dove il clima – che pure mostra segni di cambiamento – incide sulla vita delle persone. I nonni che alle quattro del pomeriggio vanno a dormire tanto con la tormenta in atto cosa potevano fare (mi ha fatto tornare in mente quella sera a Trondheim quando, tanto pioveva, Antonella ed io non riuscimmo neppure ad uscire dalla Air Camping e rimanemmo a letto dal tardo pomeriggio fino al giorno dopo saltando la cena, e ascoltando la musica folk norvegese dalla radio dei vicini di piazzola). Oppure al contrario la lotta contro la luce continua della estate per riuscire a dormire. O ancora come ci si muova sempre con gli sci a portata per percorrere tratti innevati.

Ma questo libro non è ovviamente solo questo, non regala solo la soddisfazione del curioso che cerca, in questa triste epoca di uniformità dominante, ancora stralci di abitudini specifiche del luogo del romanzo.

E’ un libro profondo, bello, delicato, triste, consolante, duro.

E’ un libro da leggere con quella lentezza cui siamo indotti immaginando un paesaggio sommerso dalla neve come può essere il Grande Nord, in realtà sempre più sconvolto dal cambiamento climatico. Io ho il vizio di leggere velocemente (e più libri alla volta). Per cogliere la finezza della profondità umana di questo racconto di poco più di un anno di vita di Ulf, un anno fondamentale pur in età anziana, ho dovuto rileggerlo. Perché secondo me Ekman è bravissima nel condurre, narrando una storia familiare (che bella coppia con Inga, che lo stana quando non vuole pulire lo scaffale basso della libreria nelle pulizie di primavera e lo rimette in riga) nella quale si inserisce un dramma apparentemente minore, verso tematiche epocali. La visione di un lupo solitario e maestoso scatena, come un reagente, la crisi di Ulf. Non la solita crisi del maschio, di mezza o tarda età (che, sia detto, ne abbiamo abbastanza. E anche basta con queste “crisi del maschio”. Abbiamo anche altro da fare che entrare in crisi invecchiando, per esempio morire più lentamente!). No, la crisi di Ulf è quella di un essere vivente, essere umano,  dotato di parola e di capacità di nominare gli altri animali e le cose, di capacità di astrazione, inserito in un contesto di continua imperterrita antropizzazione della natura che lo circonda, trovando motivazioni giustificatrici per non porsi le vere domande sugli esiti del proprio intervento. E questo non in viale Lombardia a Trezzo o lungo la A4, ma nel mezzo della Svezia che noi immaginiamo, dalle nostre latitudini, essere in piena sintonia con una natura rigogliosa. Io trovo che queste riflessioni maturate da una persona che vive le problematiche della sua vita (compreso un infarto), a partire da un evento che non è vissuto come banale, ma come apertura di una valvola che libera un malessere che maturava nella sua coscienza, siano un punto di forza del libro, proprio nel non far discendere il sermone dalla montagna. La bellezza del personaggio di Ulf è che si lascia stupire, anche dopo una vita abbastanza lunga. Meglio: si lascia meravigliare. Ma la crisi di Ulf, che lo costringe e rimettere in discussione ataviche abitudini, (dirà, ricordando la sua vita da cacciatore: TUTTI quelli che ho ucciso, e non TUTTO quella che ho ucciso, come Inga gli fa notare) consuetudini apparentemente indiscutibili, scelte che ha compiuto in buona fede o per quieto vivere, lo mettono in contrasto anche con una società, quella del suo ambiente sociale, che non riesce a vedere oltre il semplice presente. Da italiano immerso in un individualismo tossico mi chiedo se questa capacità di Ulf e Inga di uscire dal conformismo, anche benefico, di una società come quella svedese possa essere un gesto di maggior forza di quanto possa capire io. Pensa Ulf: “ e forse, tra l’altro, siamo servi della gleba pure noi. Una sorta di bestiame di livello superiore, di proprietà di un potere che organizza tutto al meglio per il nostro benessere”.

Un gran bel libro infine, e sono contento che il gruppo di lettura della associazione Amici del gabbiano lo discuta il prossimo 11 luglio. Una scelta veramente azzeccata.