venerdì 25 agosto 2023

L’ARCO DELL’IMPERO CON LA CINA E GLI STATI UNITI ALLE ESTREMITA’ _ di Qiao Liang.

L’ARCO DELL’IMPERO CON LA CINA E GLI STATI UNITI ALLE ESTREMITA’ _ di Qiao Liang.

Qiao Liang è stato Maggior Generale dell’Aeronautica all’interno delle forze Armate Cinesi con un ruolo di Lavoro Politico. Il libro è del 2016.

HO letto questo libro su sollecitazione di un amico che ha stimolato la curiosità di “vedere le vicende del mondo con altri occhi”. Generalmente i libri che capita di leggere sono critici verso la nostra storia, la nostra società e il nostro sistema socio-politico colpevole di essere vuoi sfruttatore, vuoi ipocrita, vuoi asfittico, vuoi declinante. Ma sempre, dall’analista di turno, visto e vissuto (e spesso goduto) dall’interno.

In un primo momento ho avuto la duplice sensazione di non capire cosa stavo leggendo e di essere deluso dal quanto leggevo.

Avevo la sensazione di una visione complottistica scritta ad uso e consumo del pubblico cinese. Sembrava, leggendo le sue pagine, che la storia dell’ultimo secolo e di parte di questa fosse un succedersi di eventi manovrati dagli Stati Uniti per mantenere il suo potere soprattutto finanziario (grazie al dollaro, facendo faticare gli altri per godere di un alto regime di vita). Dalle guerre mondiali atte a sfinire l’impero Britannico, al sostegno alle rivoluzioni colorate non viste come ansia e desiderio di libertà di popoli da sempre oppressi ma come strumento di disordine per riportare sotto il controllo regimi non più tanto amici.

Se la prima impressione, di capire comunque poco, è rimasta, la seconda è stata mitigata da una breve ma precisa nota di indirizzo di questo amico e dalla notizia che l’India comperava petrolio dagli arabi pagandoli in Rupie ( si aggiunga le proposte di Lula di creare una moneta internazionale BRICS alternativa al dollaro).

E’ un libro che alla fine è piuttosto interessante da leggere, per certi versi, anche per maggior scioltezza, le appendici sono più interessanti del resto del volume. Bello il dialogo con l’economista sino-americano Chen Zhiwu (che ho avuto il piacere, ha dato del complottista a Qiao Liang – e quindi non avevo poi visto così male. E questi non ha negato che a suo avviso un complotto organizzato dagli USA esista veramente, anche se ha mitigato le affermazioni contenute nelle pagine precedenti).

Mi sembra di ave avuto la conferma di quanto leggevo negli altri libri SULLA Cina, che non è uno Stato di "Yesmen", all’interno di recinti ben chiusi, il dialogo e il dibattito anche critico esistono. E la seconda cosa (due su molte, ma i miei limiti sono evidenti) è che traspare la capacità della Cina di vedere lungo. C’è un affermazione nelle pagine finali che forse è esagerata, ma mi pare sintomatica. La copio anche se è un po’ estrapolata dal complesso del discorso. “ Fino ad allora, e di fronte alle pressioni geopolitiche esistenti, dovemmo solo tornare a concentrarci sulla Nuova via della seta. Si tratta DI UN OBIETTIVO DI CENT’ANNI, quindi non c’è assolutamente bisogno di affrettarsi. Anche se potessimo costruire un collegamento ferroviario diretto con l’Europa alla <velocità Shenzhen>, sarebbe meglio non fare una cosa così stupida."

Una cosa un po’ divertente è quando rispondendo a Global Times dice “ A mio parere, l’attuale declino degli Stati Uniti è il risultato dell’innovazione americana, ed è Internet che l’ha innescato. Perché Internet è il nuovo strumento che permetterà agli uomini di creare nuovi percorsi di democrazia”… se pensiamo che lo dice un Generale dell’esercito di un Paese che ha creato il Great Firewall e una rete internet chiusa e controllata, fa sorridere. 

venerdì 18 agosto 2023

SIMONE PIERANNI _ LA CINA NUOVA

 SIMONE PIERANNI _ LA CINA NUOVA

Premessa. Sto leggendo un altro libro sulla Cina: L'arco dell'Impero. Con la Cina e gli Stati Uniti alle estremità di Qiao Liang. E ci sto capendo pochissimo (ma fortunatamente ho un amico che mi fornisce qualche spiegazione). Ho la presunzione di  aver capito abbastanza (tutto mi sembra esagerato) del libro di Simone Pieranni. Due considerazioni: a Milano si dice "ogni ofelé fa el so mesté" che intellettualmente invita a un bagno di umiltà e rende coscienti che leggere un libro difficile senza avere la capacità di comprenderlo è un esercizio inutile ( ma devo dire che mi ha fornito una pur opaca base per capire meglio la puntata di Globally  https://www.ispionline.it/it/pubblicazione/globally-il-podcast-sulla-geopolitica-29852 (ISPI) di oggi https://open.spotify.com/episode/5rQfy7yAx10egeCw13c01a e anche intuire l'importanza che ha il fatto che l'India paga in Rupie il petrolio agli UAE. Seconda considerazione, sto leggendo libri di bravissimi divulgatori, studiosi e scrittori che sono capaci di rendere comprensibili questioni serissime mantenendo un alto livello pur con un linguaggio discorsivo. Come è il caso di questo libro del fondatore di https://www.china-files.com/  Simone Pieranni.

Il libro è diviso in capitoli quasi in contrapposizione l'un con l'altro. Chissà se posso fare il figo e utilizzare la diade Yin e Yang, che non sono esattamente contrapposti ma dove ogni elemento contiene il seme del suo opposto (abbozzo).

In questo modo ci si apre una Cina che mi appare nell'immaginazione come una pentola piena d'acqua sul fuoco. Non è acqua cheta, fredda, immobile, ma non raggiunge mai l'ebollizione perché appena si avvicina a quella temperatura, il PCC provvede ad abbassare la fiamma o aggiungere acqua fredda. Una società controllata eppure in grado di discutere e protestare entro certi limiti, più su questioni molto concrete e in prospettiva tendente verso risultati misurabili. Lo stesso Partito Comunista, che mi sembra sempre più in linea con il vecchio sistema imperiale nel quale il compito dell'Imperatore era "armonizzare il cielo e la terra", è sensibile al consenso popolare.

Copio un paio di capoversi di pagina 175 molto indicativi; motivo: se Pieranni lo spiega bene, perché dovrei confusamente riportare il suo pensiero  con parole mie?

"Un altro aspetto che creava parecchia confusione nella mia esperienza cinese era sicuramente dovuto ad alcuni miei pregiudizi. L'immagine che nel corso del tempo l'Occidente ha veicolato sulla Cina è quella di un paese piuttosto rigido, dove non esiste la capacità politica e dove tutto sembra essere deciso e scolpito nella pietra, per sempre. Grande e immutabile, pare essere la Cina nei nostri pensieri. Ma non è assolutamente così e questo si evince sia dalla vita quotidiana sia dalla rappresentazione del popolo cinese che bene o male l'attività del Partito Comunista fornisce, oltre che, naturalmente, dall'impianto filosofico cinese. I cinesi, in realtà, non sono affatto rigidi: sono molto più disposti a cambiare idea e piani di quanto pensiamo. E lo stesso vale per il Partito Comunista. Potremmo sostenere che i cinesi sono dei grandi sperimentatori, molto più di quanto lo siamo noi. Nelle pagine di quel diario pechinese (di Pieranni, nota mia) improvvisato, insieme a esempi di vita concreti, ho trovato anche alcune riflessioni sul concetti di libertà in Cina che hanno a che vedere proprio con l'oscillazione tra ordine e caos... Il PCC è l'ago della bilancia sociale in Cina, unica istituzione ad ora in grado di mantenere la stabilità. La popolazione lo sa e quando bisogna evitare il caos, il luan, segue le direttive del Partito, si mobilita. Ma di fronte ad abusi ed ingiustizie la popolazione si ribella: in Cina ogni anno ci sono migliaia di "incidenti di massa" (il numero è segreto di Stato), che vanno dalla protesta di qualche petizionista, fino a vere e proprie rivolte cittadine."

L'effetto di questi libri, di Pieranni, di Messetti, di Colarizi, di Pompili ecc è duplice: la voglia crescente di leggere altro ancora per conoscere sempre un pezzettino di più sulla Cina, sul Far East, sull'Indo-Pacifico, e l'altro di fare la stessa operazione con altre parti del mondo, l'Africa, l'America latina e del Nord e la nostra spesso poco conosciuta Europa. E scoprire sempre più fili che legano il mondo.

LA CINA NUOVA di Simone Pieranni, nel mio piccolo mi sento di consigliare la lettura.

venerdì 11 agosto 2023

NELLA TESTA DEL DRAGONE e LA CINA E' GIA' QUI di Giada Messetti

 NELLA TESTA DEL DRAGONE e LA CINA E' GIA' QUI di Giada Messetti

Sicuramente non sono giovane, e men che meno meraviglioso. Non ho gli strumenti per soddisfare la mia inesauribile curiosità neppure con  settimane, altro che anni,  di studio matto e disperatissimo sulle sudate carte. Quale diletto intellettuale quindi godo leggendo i bei libri di una talentuosa, lei sì giovane, giornalista e scrittrice come Giada Messetti.  A chi come me non possiede finezza di comprensione e profondità di conoscenze, opere seriosamente divulgative come questi due libri sono una chiave utile per aprire una porta che consente di affacciarsi libero da stereotipi su un mondo che pur lontano per molti versi è, come dice Messetti, già qui, in un modo che non ha senso e non è intelligente ignorare. Possiamo essere affascinati o meno, incuriositi o meno, dall'Asia, dal Far East asiatico, dalla Cina (Zhongguo, il paese che sta in mezzo), ma non possiamo ignorare che molti dei fili che tengono unito il mondo corrono e a volte possono aggrovigliarsi da quelle parti, e che l'Indo Pacifico sta diventando, o è diventato, uno dei principali cuori pulsanti del mondo. Ho scoperto e conosciuto Giada Messetti cercando random libri sulla Cina e sul far east, come ho conosciuto Giulia Pompili, Simone Pieranni, Alessandra Colarizi, Lorenzo Lamperti, China Files ... 

Poi Giada Messetti ha condotto quel fortunato programma su Rai 3 con l'amico Francesco Costa, CINAMERICA.

Ho riletto volentieri questi due libri che avevo già letto, cogliendo aspetti che a una prima lettura mi erano sfuggiti e confrontando le informazioni che mi dava, con il suo stile semplice e profondo, con altre informazioni che diverse letture mi avevano già fornito, riuscendo, sempre in modo approssimativo, a cominciare a strutturare un minimo livello di conoscenza più consapevole.

Ho apprezzato moltissimo, per esempio, l'aver iniziato il libro LA CINA E' GIA' QUI con una breve, interessante e piuttosto completa (al netto dell'enormità dell'argomento) sulla lingua cinese e sulla importante ontologica nella cultura e nella civiltà cinese. 

Ci sono altri capitoli che affrontano diversi aspetti che sono di piacevole lettura e di grande utilità per districarci verso una cultura veramente altra. Ma ci sono similitudini "umane" che mi hanno fatto sorridere. Il capitolo TUTTO SI TIENE inizia con una parte di un proverbio che dice " per il popolo il cibo è come il cielo". Mi ha fatto venire in mente un episodio narrato in LA MESSA DELL'UOMO DISARMATO di Luisito Bianchi. La contadina che aiuta la padrona della fattoria al lavaggio delle lenzuola all'arrivo della primavera, condivide con lei poi del cibo, in particolare tra due fette di polenta calda delle fette di salame tagliato appositamente (vado a memoria, ma credo di non sbagliare). E gustando questa delizia esclama "Il paradiso deve essere così". Anche per lei il cibo è come il cielo.

Un altro dei pregi dei libri a mio avviso è la suddivisione a capitoli quasi monografici, che da un lato aiutano a concentrarsi su una questione settoriale e dall'altro facilitano la costruzione della struttura di conoscenza perché i richiami e i legami sono facili da intuire e legare in modo autonomo.

Prima di concludere queste poche e povere righe che vorrebbero spiegare perché è bel tempo quello speso nel leggere questi libri (spero di non avere come esito l'effetto contrario, Giada mi scuserà allora), vorrei citare una pagina, la 88 di La Cina è già qui, perché ho trovato un richiamo al tema di Molte Fedi sotto lo stesso Cielo - mi accorgo che è una ridondanza non voluta con l'autonominarsi della Cina: Tianxia, il tutto sotto il cielo che l'Imperatore governava -  Parlando di Li Kunwu, un disegnatore dello Yunnan (per inciso, anche io come Giada Messetti ho mangiato per la prima volta insetti fritti nello Yunnan) scrive:

< Crede che "l'oggi sia il domani di ieri, e che il domani sia il dopodomani di ieri". Per lui tutto è integrato: passato, presente, futuro. Sostiene che se non si capisce l'ieri, non si può sapere nemmeno come amare l'oggi, non soltanto come riuscire a comprenderlo. E se non si ama l'oggi, non si può sapere come andare verso il domani. "Ma senza il domani, qual è il significato della vita umana?">

Il tema di Molte Fedi di quest'anno è APPASSIONATI AL PRESENTE.

Concludo con un'altra citazione, dalle pagine iniziali del secondo libro: "del Dragone si parla ormai tutti i giorni... Purtroppo però l'argomento viene spesso affrontato in modo superficiale e il racconto dei media, da questo punto di vista, non aiuta.... Le lenti che indossiamo hanno inevitabilmente i colori della nostra formazione culturale, ma fare affidamento soltanto su di esse comporta il rischio di cadere nella sterile semplificazione di un Dragone in bianco e nero" La citazione potrebbe essere molto più lunga. Quello che mi piace di questa citazione è che a mio avviso Messetti non la usa per dire, ve la do io la Cina (come ci irretiva un comico anni fa), ma per dire che occorre cercare di vedere con uno sguardo differente. Non è possibile vedere con gli occhi degli altri, saremo sempre noi a guardare, ma cercare di conoscere per capire, avere empatia che non vuol dire avere simpatia ma cercare di porsi nello stato d'animo dell'altro. 

La bellezza e la forza dei libri che sarà invincibile nei confronti di tutte le forme di comunicazione verbale e/o iconografica sta proprio nella possibilità di essere continuamente ripresi. Come meritano questi due, partendo da una prima lettura che consiglio.

mercoledì 9 agosto 2023

AFRICA ROSSA_ di Alessandra Colarizi

 AFRICA ROSSA_ di Alessandra Colarizi

Il modello cinese e il continente del futuro.

Che bello questo libro di Alessandra Colarizi. Bello, interessante e a suo modo entusiasmante.

Ci si può entusiasmare leggendo un saggio? A mio modesto parere, sì. Si può quando si percepisce di comprendere, grazie a uno stile di scrittura chiaro e a ragionamenti bene esposti, il filo logico del discorso. Alessandra Colarizi non si concede esibizioni di erudizione che a volte si trovano in libri così specifici, quasi che chi se li concede volesse marcare un po' la distanza tra un lettore medio come me e la sua conoscenza e capacità di elaborazione. No, Colarizi si esprime con proprietà, competenza ma anche con un confronto schietto con il lettore, spiegando che rapporto si è costruito tra la Cina e gli Stati africani, tra il potere cinese e i poteri africani, tra i cinesi e gli africani (perdonate considerare gli africani come un soggetto collettivo, nel libro si colgono anche le differenze culturali tra i diversi popoli). 

E leggendo si può seguire l'evolversi del gioco politico, il confronto tra gli intenti, gli scopi evidenti e reconditi, la relazione anche conflittuale, i successi e i problemi. 

Lo fa anche confrontando l'approccio che per comodità chiamo Occidentale, Consentendoci di fare riflessioni per nulla stereotipate, ma con strumenti di consapevolezza che questo libro offre e non sempre ho trovato in altre pubblicazioni simili.

Con la associazione ( Amici del gabbiano di Trezzo) con la quale collaboro abbiamo creato un gruppo di lavoro in sinergia con altre associazioni che abbiamo chiamato Africast ( già Luci sull'Africa). Uno degli scopi è quello di frantumare gli stereotipi sull'Africa. Con questo libro si possono frantumare stereotipi sia sull'Africa sia sulla Cina.

Del resto Colarizi è direttrice editoriale dell'interessantissimo sito China Files, a mio avviso imprescindibile per chi può essere interessato, anche a livello popolare, come me, verso il Far East, uno dei cuori pulsanti del mondo oggi. 

Leggo nella fascetta di copertina una valutazione del libro che mi sento pienamente di condividere: " Mentre la narrazione dei mass media propone in modo ossessivo quasi ogni giorno le statistiche del debito africano e degli investimenti cinesi, poco o nulla viene raccontato degli scambi politici e culturali tra i rispettivi popoli". Centrato in pieno. Una delle ricchezze di questo libro è proprio questo: non incentrarsi sulle tabelle e sui numeri, ma raccontare dentro la vicenda di relazione tra le persone, anche con esempi di vita vissuta. 

Credo che possa essere un libro che aiuta ad aprire la mente e a indirizzare la conoscenza interessante anche per chi è semplicemente curioso o non si accontenta delle notizie mainstream, ma abbia gusto nel conoscere nel profondo, senza per forza essere interessato alla Cina o all'Africa (ma attenzione, i fili che collegano il mondo e che nel loro dipanarsi toccano Africa e Cina sono gli stessi fili che toccano anche noi, è pericoloso dire, non mi interessa).

Sarebbe una ricchezza poter dialogare in libreria con Alessandra Colarizi, una ricchezza per tutti. 

Libro consigliato, alla grande. Poco più di 200 pagine tra le quali  nessuna è superflua.

giovedì 3 agosto 2023

BURQA QUEEN di Barbara Schiavulli

 BURQA QUEEN di Barbara Schiavulli

Ho appena finito di leggere un libro sulla storia della Cina che narra tra l’altro di immense stragi, addirittura del genocidio di uno sconosciuto popolo dell’Asia centrale. Si legge di trecentomila morti con l’interesse del curioso di storia, senza particolari emozioni se non un moto di stupore. Ma quando i libri, e lo sanno fare, riescono a farci identificare la persona che sta soffrendo, a volte la lettura diventa insostenibile, o per l’egoismo che ci fa rimanere nel recinto della comfort zone la si evita. E io sono quel lettore.

Quindi non è naturale per me aver scelto di leggere il libro di Barbara Schiavulli che racconta di tre donne che vivono sulla loro pelle e giocandosi il loro futuro il ritorno al potere dei Talebani in Afghanistan

(abstract dal Sistema Bibliotecario:La storia di tre donne dopo la riconquista del potere dei talebani in Afghanistan. Layla, Faruz e Farida, sono una giovane sposa, un'ex poliziotta e un'ex insegnante travolte dalle nuove regole del regime e immerse in una violenza senza precedenti da quando l'Occidente ha voltato le spalle alle donne afghane. Per 20 anni si erano rimboccate le maniche per costruire una società civile, ora uccisa, evacuata o nascosta. Le tre arrancano per sopravvivere un giorno dopo l'altro immerse nella disperazione di un genere che gli estremisti stanno cercando di cancellare. Hanno capito che ci sono solo due alternative: soccombere o reagire)

Ho voluto leggere questo libro di Barbara Schiavulli per diversi motivi, per il suo modo di fare giornalismo, sul posto, camminando sulle stesse strade di chi entra nel suo raccontare, per la Radio che dirige (Radio Bullets, che ascolto con minore costanza di quanto merita, per vicende della Associazione.

E’ stata una lettura coinvolgente, che ha suscitato l’interesse verso una realtà che conosciamo e non conosciamo allo stesso tempo. Sarebbe interessante discuterne con lei in Libreria

Il caso ha voluto che il giorno dopo aver letto il libro (lo si legge in un giorno) ho letto il post che trascrivo sotto (ma invito a cercare Barbara Schiavulli sui social per seguirla). Già il libro racconta una vicenda se non vera, summa di tante storie vere che immagino abbia conosciuto. Subito dopo precipitiamo nella vicenda vera e drammatica di Nadima. Ecco che il nome collettivo se non un volto assume una consistenza individuale. E mentre io scrivo comodamente queste righe Nadima vede il buio chiudersi sul suo futuro, senza avere una seconda possibilità di giocarsi la vita come merita di essere vissuta.

Forse è stupido, mi rimane la curiosità di conoscere dentro i processi mentali, l’humus sociale e il retaggio culturale che muove il talebano per essere appunto talebano.

Se mi si chiedesse un parere, io suggerirei con convinzione di leggere questo piccolo ma “tosto” libro. Ne vale la pena.

“Voglio morire”, la voce spezzata dal pianto che ogni tanto si ferma per respirare. “Non ce la faccio più e se questa è la vita che mi aspetta, non voglio viverla. E sei troppo lontano per potermi fermare”.

Comincia così un pomeriggio assolato in una Roma sempre più calda con l’olezzo dolciastro dei rifiuti non raccolti, che ti entrano nelle narici se solo osi tenere le finestre aperte. Fa troppo caldo per pensare, troppo caldo per convincere una giovane ragazza sana che la vita merita di essere vissuta. Chi sono io per dare certezze a chi non ne ha? Non ho neanche la religione dalla mia parte e forse, proprio a lei non sarebbe neanche il caso di nominarla.

Nadima, non è il suo vero nome ma non ha nessuna importanza come si chiama, la conosco da molti anni, non mi ricordo neanche quando ci siamo incontrate, sicuramente durante un’intervista, più giovane di me, ma con quell’aria vissuta che hanno tutte le donne afghane che la vita non l’hanno mai attraversata, se la sono dovuta conquistare con le unghie e i denti negli ultimi vent’anni. La vedo attraverso il video whatsapp che accorcia le distanze come se non fosse a 6000 km di distanza. Mi sembra di poter allungare la mano per poterla toccare. Vorrei afferrarla e farla uscire dalla mia parte del telefono.

Mi dice che i suoi vogliono che si sposi, che non possono più vederla disperarsi dalla mattina alla sera, che appena avrà un figlio le sue giornate saranno così piene e nuove che tutto il resto non avrà importanza. I figli hanno il potere di diventare una priorità assoluta, cancellano i sogni di carriera, il desiderio di viaggiare, quei grilli nei capelli che parlano di vedere le amiche e andare fuori a fare una passeggiata. Il dono dei figli sono una dittatura sopportabile che ti strappa alla vita quando non ce l’hai.

Il problema è che Nadima non vuole figli. Ha studiato. Aveva un lavoro. E non si capacita. Non tanto di tutte le “regole contro” che sono state imposte a quelle del suo genere, ovvero femminile, ma della cosa più importante di tutte non si capacita e che ci rende umani. Il motivo per il quale il mondo ha fatto rivoluzioni, la ragione per la quale le donne hanno resistito, combattuto, lottato: la libertà di scegliere.

La schiavitù che sia familiare, religiosa o politica è uno dei mali assoluti. E capisco il dolore di Nadima che mi dice che non vedrà mai il mare, che non entrerà mai in cinema, o andrà ad un concerto o entrerà in una libreria per comprarsi un libro. Penso che niente di questo è veramente necessario per sopravvivere, ma sappiamo tutti quanto sia indispensabile per vivere. E queste donne, rinchiuse nelle loro stesse case sotto gli occhi di familiari preoccupati ma incapaci di reagire, si sentono perse. Abbandonate, tradite. Sole. “Posso dirlo solo a te. Altrimenti i miei mi chiudono in camera se sentono parlare di suicidio”. E io non sono contenta di essere la custode dei suoi brutti pensieri. Non ne sono lusingata per un solo attimo. Perché mi sembra di non riuscire a fare mai abbastanza, di essere in un paese libero, ma di non poter fare niente di utile, a parte parlare, scrivere, disturbare, usare la mia rabbia per rompere l’indifferenza e scoprire che questa è un mostro indistruttibile. Come le zanzare, ne ammazzi una, e ne arriverà sempre un’altra. Siamo entrambe combattenti di una battaglia persa? Lei lotta per vivere, io per far si che la gente sappia che lei sta lottando.

Le parlo indossando una canotta, pantaloncini, un velo di trucco e i capelli ricci al vento del ventilatore perché ho deciso che ieri non li volevo lisci. Lei è nella sua manica lunga, nei jeans, ma solo perché è in camera sua, con l’elettricità che va e viene. È contenta perché è riuscita il giorno prima a caricare il cellulare. Si può essere felici di una cellulare carico? Piange, e ogni lacrima mi spezza quel cuore che con certe persone ho dovuto fermare. Perché a volta mi sembra di non riuscire a far capire o trasmettere cosa stanno passando queste persone.

Dove una mela è gioia, dove una giornata senza sentire il rumore dei pickup della polizia talebana è meno ansia. Dove un fiore che spunta tra le piastrelle del cortile è una breaking news della famiglia. “Non si parla che di soldi, di come trovare da mangiare, di come trovare marito, di come trovare le medicine. Stiamo sempre a cercare qualcosa. Credimi, non ne posso più. Non è questa la vita che una persona dovrebbe fare, non dico essere liberi e ricchi, ma avere un attimo di tregua. Pensate che la guerra sia finita? Ne è cominciata una ben peggiore e ci sta mangiando dentro. Sento i miei organi morire, sento la mia anima sbriciolarsi, sento la vista offuscarsi e il cervello smettere di funzionare. Sono un’insegnate, avrei dovuto ispirare le giovani ragazze e invece non riesco neanche a convincere me stessa”.

Le dico che tanta gente sta parlando di Afghanistan, sta cercando di svegliare le persone, ma che ci vuole tempo, e lei deve resistere fino a che quel momento arriverà. “Sei mesi? Un anno? Cinque anni? Devo fare bambini per distrarmi? Devo sposare un uomo per mangiare? Devo pulire la casa per tenere gli occhi impegnati e impedirmi di piangere dalla mattina alla sera? Che ho fatto di male per meritarmi questo? Che abbiamo fatto di male tutte noi?”. Anche i miei occhi si riempiono di lacrime, ma non cederò al suo dolore, dovrà cedere lei alla mia forza e attingervi.

Le dico che il mondo è fatto male, che ci sono persone che sono oppresse per il colore della pelle, perché vengono da altri paesi. Le dico che qui chi fugge da un paese in guerra, finisce in prigione. Persone uccise per la loro religione o la loro simpatia politica. Ma niente la consola. Come potrebbe? Provo a dirle che anche se nessuno le aiuterà, dovranno trovare la forza per resistere, lottare. Mi sento stupida mentre lo dico, ma so che è vero. Sono sole. Ma sono sane, forti, intelligenti, e disperate. E la voglia di morire per liberarsi dalla prigionia devono trasformale in lotta.

Tutto quello che c’era da prendere in Afghanistan, l’Occidente lo ha depredato, il resto lo sta prendendo chi è rimasto. E sappiamo bene che mai le persone sono sul piatto della bilancia di un mondo di uomini che fanno solo i loro interessi. Le guerre non si fanno per salvare le persone. La pace lo fa. Ma che glielo dico a fare a Nadima? Che ha solo fame e voglia di essere libera.

Le racconto la favola della bella addormentata nel bosco, riveduta e corretta, le dico che deve entrare in standby, congelare la mente e il cuore e andare avanti per inerzia. Che prima o poi qualcosa succederà, magari una pandemia, un cataclisma, un’altra guerra. “Devo sperare nel peggio per liberarmi?”. L’importante è che non smetti di sperare, amica mia.

E cade la linea: batteria finita.

L'IMPERO INTERROTTO_ di Michael Schuman

 L'IMPERO INTERROTTO_ di Michael Schuman 

Giada Messetti ci spiega che gli intellettuali e i decisori cinesi leggono le opere dei pensatori dell’Occidente, mentre noi (inteso in senso generale) non leggiamo le opere dei cinesi. Esiste probabilmente un dislivello di conoscenza. E nel lato più basso, dove manca la conoscenza, il vuoto può essere riempito dagli stereotipi. A vantaggio di chi si impegna per conoscere scientificamente. Un libro come questo, L’IMPERO INTERROTTO. LA STORIA DEL MONDO VISTA DALLA CINA, scritto da Michael Schuman (non uno storico, bensì un giornalista e studioso di Relazioni Internazionali) probabilmente si pone a metà strada. Non conosco l’autore, ma vedo che pubblica con UTET e collabora con ISPI (oltre a un serie di importanti giornali anglosassoni) e quindi credo che la fiducia sia ben riposta. Tra l’altro leggo che il titolo in inglese è “Superpower Interrupted: The Chinese History of the World”, con il termine Superpotenza e non Impero (forse a noi italiani piace di più impero. Per curiosità sono andato a vedere se in inglese l’altro libro che sto leggendo L’ARCO DELL’IMPERO di Qiao Liang avesse un altro titolo, ma invece in questo caso anche in inglese si usa la parola Impero)



Torniamo al libro di Schuman. Lo ho trovato, in entrambe le letture (l’ho letto due volte) un libro ben fatto (per quanto possa valere il mio banale giudizio), interessante, abbastanza divulgativo da poter essere affrontato da lettori come me, e stimolante. Oh, sia chiaro, alla fine si fa un po’ di confusione tra Qing, Tang, Manciù, Shang e tutti i popoli che hanno combattuto, governato, invaso, o sono stati sterminati nel corso dei millenni (perché una cosa emerge, l’entità Cina, con le sue diverse vicissitudini, mi sembra detenga il primato di longevità, superando anche una potenza come la Chiesa Cristiana poi diventata Cattolica).

Ma non serve per superare un esame di storia; lo scopo riuscito del libro è di consentirci di cercare di guardare con lo sguardo dell’altro, vedere e capire che non deteniamo solo noi la penna con cui si scrive la Storia (perlomeno possiamo farlo con molti, ma non con i cinesi di sicuro). Si accompagna molto bene all’altro libro che ho appena letto sulle Guerre dell’Oppio. Credo sia non solo una operazione stimolante intellettualmente scoprire e confrontarsi con un’altra narrazione, capire che il mondo era complesso anche quando non era conosciuto, che i retaggi sono molti e diversi e persistono soprattutto in storie che possono rivendicare una continuità (e quindi quanto possa essere scritto nella carne di chi subisce eventi epocali come Il secolo delle Umiliazioni e la Rivoluzione Culturale) e condizionano e formano il pensiero attuale. Dovremmo saperlo noi che ci rifacciamo all’Illuminismo e alla Rivoluzione Scientifica per motivare i nostri valori.

Mi sembra che proprio per questo aiuto ad aprire lo sguardo (che all’inizio abbiamo detto già essere reciproco – poi se fatto per aumentare il rispetto reciproco o per trovare punti deboli per suscitare crisi è un altro discorso) la lettura di questo libro, per molti versi appassionante, sia particolarmente consigliabile.

Di seguito l'incipit dell'abstract usato dai sistemi bibliotecari per presentare il libro

La storia del mondo che studiamo a scuola inizia con i grandi popoli antichi, fiorisce con l'antica Grecia, Roma, Alessandro Magno. Trascolora con la fine dell'impero, il Medioevo e il Rinascimento e tutto quello che ne è conseguito: conosciamo benissimo le lotte secolari dei regni e degli imperi europei e la grande epoca delle scoperte, quando imparammo che la Terra era molto grande, persino più grande di quanto ci aveva insegnato Marco Polo incontrando in Cina il maestoso Oriente. Proprio la Cina ci invita a rovesciare questo nostro sguardo: fino all'arrivo di Marco Polo per noi è di fatto ininfluente, e in qualche modo resterà periferica nei secoli a venire, spuntando fuori ogni tanto nelle guerre e nelle interazioni con gli interessi occidentali. Eppure, quella cinese è la storia millenaria di un paese grande quanto un continente, di dinastie, battaglie epiche, leader politici influenti e ideologie che hanno cambiato il corso degli eventi più di quanto noi europei vogliamo ammettere.

martedì 1 agosto 2023

UN UOMO DI POCHE PAROLE_ di Carlo Greppi

 UN UOMO DI POCHE PAROLE_ di Carlo Greppi

Sentivo che c’era un collegamento che mi sfuggiva mentre leggevo questo libro importante e interessante di Carlo Greppi sulla vita di Lorenzo Perrone, l’uomo che “salvò” (letteralmente) Primo Levi fornendogli per un lungo periodo un cibo supplementare che lo aiutò a sopravvivere.

Poi finalmente la lampadina si è accesa.

Prima di svelare il collegamento, devo fare una ammissione. La mia conoscenza di Primo Levi, il mio approccio alla sua opera (ponderosa, Greppi scrive che sono più di 4000 pagine) è così lacunosa, che di Perrone prima di questo meritorio libro non avevo conoscenza.

E il colmare questa mia colpevole lacuna è già motivo di ringraziamento per Greppi che ha scritto questo libro non facile e non scontato. Ma c’è altro, si va oltre.

E vengo al collegamento, mi piace pensare che sia uno degli scopi per il quale Greppi ha scritto il libro, e nasce dalla domanda sul perché uno fa del bene gratuitamente, opta per una scelta rischiosa o costosa trovando la motivazione per farla nella scelta stessa che legge il contesto in cui si esplicita.

Anche quando può sembrare controintuitiva, apparentemente contraddittoria con le condizioni e il retaggio con cui si convive.

Il collegamento è con un libro che ho appena letto, un libro che ho apprezzato moltissimo: TEMPESTA, di Camilla Ghiotto.

Renzo Ghiotto il padre di Camilla nato e cresciuto nel fascismo prende le armi e sale in montagna per combattere per la democrazia che non ha mai sperimentato. Lorenzo Perrone si trova da Lavoratore volontario di fronte il prigioniero destinato a morire di consunzione ad Auschwitz e per un lungo periodo gli porta una gamella di zuppa di nascosto.

Renzo e Lorenzo (due persone diversissime, ma evidentemente accomunate non solo dalla similitudine del nome) fanno una scelta controintuitiva, rischiosa, gratuita.

In una intervista a Greppi viene chiesto perché Lorenzo sceglie di fare la cosa giusta. Risponde: “Voglio credere e sono convinto del fatto che la nostra capacità di determinarci sia molto più forte del patrimonio genetico e persino del contesto che forma il nostro carattere. Lorenzo sembrava un predestinato ad incattivirsi. Ma questo è il messaggio: la scelta ce l’hai sempre, indipendentemente da chi sei e dal contesto in cui ti trovi. Quella scintilla può nascere in chiunque, perché tutti ce l’abbiamo dentro”. Questa scintilla Renzo Ghiotto kantianamente la chiamava “la legge morale dentro di sé”.

 Ecco il collegamento che mi è venuto finalmente in mente finito il libro.

Ci sono altri spunti di riflessione molto profondi in un libro che non mi sembra semplice e che richiede una buona dose di attenzione per cogliere tutto ciò che offre. Mi sembra che, per la sentita partecipazione alla vicenda, e alla ricerca, che Greppi mette in questo libro, che i protagonisti siano tre, Perrone ovviamente e pure ovviamente anche Levi, ma pure Greppi stesso, che racconta la sua ricerca soprattutto nelle parti dove finisce in un vicolo chiuso, dove lo scavo non porta da nessuna parte. Non so, sbaglierò, ma non mi sembra mania di protagonismo, quanto la sottolineatura della tendenza a sparire nel nulla, all’oblio, la storia della gente minuta anche quando compie gesti clamorosamente grandi.

Un altro spunto che mi ha colpito è tratto da Levi stesso, che trova nel gesto di Perrone la possibilità di tornare ad aver fiducia nell’uomo.

E infine, forse debordo, mi viene da triangolare nel pensiero tra chi ha compiuto tanto male e, scampando dal giudizio umano, probabilmente vive bene il resto dei suoi giorni, tra chi ha sofferto tanto male e non si è ripreso più (Amery, forse Levi stesso), e chi, come sembra dire la storia di Perrone, ha visto il male  e ha perso la voglia di vivere.

Concludo dicendo che è un libro da leggere e sul quale sarebbe bello poterne discutere in libreria con Greppi, molti ne trarrebbero beneficio.