ESSERE LUPO di Kerstin Ekman
Lo ammetto, ho due caratteristiche: una predilezione per l’esotico
e una particolare attrazione per gli estremi ( l’estremo nord e l’estremo sud. Nordkapp
e Ushuaia per spiegarsi. Spoiler. Quale è la cosa da fare prima di morire a cui
tengo di più: sbarcare a Cabo de Hornos).
Discende da questa premessa una curiosità particolare verso
molti libri Iperborea, e questo è compreso. Non tradisce, nella sua storia
semplice e drammatica, le aspettative. Mi è piaciuto cogliere quegli aspetti della
vita nella Svezia profonda, dove il clima – che pure mostra segni di
cambiamento – incide sulla vita delle persone. I nonni che alle quattro del
pomeriggio vanno a dormire tanto con la tormenta in atto cosa potevano fare (mi
ha fatto tornare in mente quella sera a Trondheim quando, tanto pioveva,
Antonella ed io non riuscimmo neppure ad uscire dalla Air Camping e rimanemmo a
letto dal tardo pomeriggio fino al giorno dopo saltando la cena, e ascoltando la
musica folk norvegese dalla radio dei vicini di piazzola). Oppure al contrario
la lotta contro la luce continua della estate per riuscire a dormire. O ancora
come ci si muova sempre con gli sci a portata per percorrere tratti innevati.
Ma questo libro non è ovviamente solo questo, non regala
solo la soddisfazione del curioso che cerca, in questa triste epoca di uniformità
dominante, ancora stralci di abitudini specifiche del luogo del romanzo.
E’ un libro profondo, bello, delicato, triste, consolante,
duro.
E’ un libro da leggere con quella lentezza cui siamo indotti
immaginando un paesaggio sommerso dalla neve come può essere il Grande Nord, in
realtà sempre più sconvolto dal cambiamento climatico. Io ho il vizio di
leggere velocemente (e più libri alla volta). Per cogliere la finezza della profondità
umana di questo racconto di poco più di un anno di vita di Ulf, un anno
fondamentale pur in età anziana, ho dovuto rileggerlo. Perché secondo me Ekman
è bravissima nel condurre, narrando una storia familiare (che bella coppia con
Inga, che lo stana quando non vuole pulire lo scaffale basso della libreria
nelle pulizie di primavera e lo rimette in riga) nella quale si inserisce un
dramma apparentemente minore, verso tematiche epocali. La visione di un lupo
solitario e maestoso scatena, come un reagente, la crisi di Ulf. Non la solita
crisi del maschio, di mezza o tarda età (che, sia detto, ne abbiamo abbastanza.
E anche basta con queste “crisi del maschio”. Abbiamo anche altro da fare che
entrare in crisi invecchiando, per esempio morire più lentamente!). No, la
crisi di Ulf è quella di un essere vivente, essere umano, dotato di parola e di capacità di nominare gli
altri animali e le cose, di capacità di astrazione, inserito in un contesto di
continua imperterrita antropizzazione della natura che lo circonda, trovando
motivazioni giustificatrici per non porsi le vere domande sugli esiti del proprio
intervento. E questo non in viale Lombardia a Trezzo o lungo la A4, ma nel
mezzo della Svezia che noi immaginiamo, dalle nostre latitudini, essere in
piena sintonia con una natura rigogliosa. Io trovo che queste riflessioni maturate
da una persona che vive le problematiche della sua vita (compreso un infarto),
a partire da un evento che non è vissuto come banale, ma come apertura di una
valvola che libera un malessere che maturava nella sua coscienza, siano un punto
di forza del libro, proprio nel non far discendere il sermone dalla montagna.
La bellezza del personaggio di Ulf è che si lascia stupire, anche dopo una vita
abbastanza lunga. Meglio: si lascia meravigliare. Ma la crisi di Ulf, che lo
costringe e rimettere in discussione ataviche abitudini, (dirà, ricordando la
sua vita da cacciatore: TUTTI quelli che ho ucciso, e non TUTTO quella che ho
ucciso, come Inga gli fa notare) consuetudini apparentemente indiscutibili,
scelte che ha compiuto in buona fede o per quieto vivere, lo mettono in
contrasto anche con una società, quella del suo ambiente sociale, che non
riesce a vedere oltre il semplice presente. Da italiano immerso in un
individualismo tossico mi chiedo se questa capacità di Ulf e Inga di uscire dal
conformismo, anche benefico, di una società come quella svedese possa essere un
gesto di maggior forza di quanto possa capire io. Pensa Ulf: “ e forse, tra l’altro,
siamo servi della gleba pure noi. Una sorta di bestiame di livello superiore,
di proprietà di un potere che organizza tutto al meglio per il nostro benessere”.
Un gran bel libro infine, e sono contento che il gruppo di
lettura della associazione Amici del gabbiano lo discuta il prossimo 11 luglio.
Una scelta veramente azzeccata.
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